Lo spunto l’ho preso dalla ricetta della pizza fritta di Maria Cacialli.
Finalmente una donna, nel panorama interplanetario di pizzaioli, a raccontare uno dei primi “street food”, narrati anche nel film “L’oro di Napoli”.
Ho convertito la lievitazione con lievito liquido e ho usato una farina tipo 0, integrandola questa volta con 40 g di farro, per un valore di forza totale di circa W300.
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Qui la descrizione di come funziona questo calcolatore col quale mi sono aiutata per dosi e procedimento (quella indicata come pasta di riporto è il mio lievito liquido):
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INGREDIENTI
349 g farina W300 (309 tipo 0 + 40 g farro integrale setacciato)
227 g acqua
79 g lievito liquido di 6 ore e mezza prima
6 g sale
PROCEDIMENTO
Impasto e riposo per un totale di 1 ora a temperatura ambiente, poi la massa in frigo per 11 ore per la puntata.
Dopo lo staglio in 4 panielli ho fatto un appretto di 4 ore a temperatura ambiente.
Ho steso poi ciascuna pizza riempiendola per metà con il ripieno.
Ho poi chiuso una metà sull’altra sigillando bene.
Ricordo che il ripieno classico solitamente è cicoli, ricotta, provola e pepe.
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Per carenze di ingredienti (ho preparato questa pizza fritta durante il periodo covid-lockdown), ho cercato di fare il ripieno più simile possibile all’originale, ma “chill’ tenev’”, quindi questo è il mio improbabile, ma ottimo mix: mozzarella di bufala scolata, crema di panna/pecorino, pezzettini di magro di guanciale, maiale cotto (ho approfittato di un po’ del mio pulled-pork) e pepe verde.
Le pizze fritte tipiche sono molto grandi, ma mi sono limitata ad un quantitativo per paniello di 165 g circa (direi che potrebbe andare anche con una dose minore) perché per la frittura ho usato una padella di ferro di “soli” 28 cm di diametro.
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Sopra, il classico movimento che ho visto fare con una “schiumarola” per tirare su l’olio bollente da versare ripetutamente sulla pizza che sta friggendo.
Spero si percepisca dalla foto, ma è tutto riportato nel link della Cacialli.
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Il sapore e la sofficità finali mi hanno ricordato i calzoni che mangiavo qui a Roma, in una rosticceria alla Garbatella.
Che dire!?! UNA BONTA’!