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LIQUORI, bevande, sciroppi, ecc.

Gradazione alcolica (come ricavarla)

Ho elaborato questo articolo cercando la maniera più semplice per poter calcolare la gradazione alcolica dei nostri liquori.

Generalmente gli ingredienti principali dei liquori sono tre (per i quali sarà importante annotarsi il peso specifico):
– alcool 95° o 96° (peso specifico arrotondato a 0,79 Kg/Litro) 
– acqua (peso specifico arrotondato a 1 Kg/Litro) 
– zucchero (peso specifico arrotondato a 1,6 Kg/Litro)

Esempio pratico.
Abbiamo un liquore fatto da 1 litro di alcool, 1 litro di acqua e 1 Kg di zucchero.
Per prima cosa portiamo tutti gli ingredienti in millilitri (cioè in volume).
Per fare questo occorre convertire il chilogrammo di zucchero in millilitri.

Conosciamo il peso specifico, quindi la formula per convertire il peso dello zucchero in volume è  
V = P : Ps
e cioè
V = 1000 : 1,6 = 625 ml

Pertanto, in un liquore che avesse 1 litro di alcool a 95°, 1 litro di acqua e 1 Kg di zucchero, il totale del volume dei tre ingredienti sarà di litri 2,625 (1000 ml alcool + 1000 ml acqua + 625 ml zucchero).

La formula per ricavare la gradazione finale alcolica sarà:

(quantità alcool utilizzato : volume totale ingredienti) x per la gradazione dell’alcool utilizzato

quindi
(1000 : 2.625) x 95 = 36

In questo liquore si avrà pertanto una gradazione di circa 36° Vol.

CONSIDERAZIONI.
Sono partita da un alcool per liquori da 95°. 
In alcuni paesi si vende un alcool con una gradazione inferiore.
In questo caso occorrerà cercare il peso specifico giusto dell’alcool utilizzato e regolarsi di conseguenza con i conteggi.
In alcuni casi, conoscendo il peso specifico degli ingredienti, potrebbe essere utile ricavare il peso in base al volume indicato in ricetta.

In questo caso si potrà utilizzare la seguente formula:     
P = Ps x V

E cioè, per riportare il valore dello zucchero da volume (625 ml) a peso:
P = 1,6 x 625 = 1000 grammi

oppure

ancora, per riportare il valore dell’alcool a 95° da volume (1000 ml) a peso:
P = 0,79 x 1000 = 790 grammi

Una dritta in più
Se invece volessimo sapere il grado alcolico complessivo di eventuali cocktail preparati con più di un liquore, sarà sufficiente applicare la media ponderata (come in questo caso).

… e ricordo di

BERE RESPONSABILMENTE!

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VARIE - Quel che resta, e non è poco

Barella autocostruita (pala per pizza)

Eh sì! Nonostante le iniziali critiche del marito che mi ha presa in giro per voler affrontare questa realizzazione (salvo poi partecipare con l’idea vincente della cerniera), mi sono cimentata nel prendere spunto per auto-costruirmi questo attrezzo: una “pala” che ci semplifica la vita, specialmente per lievitati ad alta idratazione come pizze alla pala o pane.
Sto riprendendo da poco a infornare pizze e mi sento ancora novellina in materia, ma vi assicuro che da quando ho questo attrezzo, nessuna pizza mi si è più accartocciata né per “salire” sulla pala, né per essere poggiata sull’argilla refrattaria!!

Per chi non lo conoscesse questo è l’utensile ideato dagli americani, al quale l’autore de La Confraternita della Pizza si è ispirato (e che io ho rivisitato a mia volta), per riprodurre in casa la “barella”per infornare lievitati (un po’ come la “lettiga” già usata dai nostri fornai).
Da segnalare che, qualora non vi fosse possibile autocostruirvi questo utensile, nello Store del forum LCDP ora si può anche acquistare.
Io per adesso mi accontento di questa!

Mi sono regolata in base alla mia argilla refrattaria di cm. 40 x 30 x 4 che solitamente posiziono in verticale rispetto al forno, e ho utilizzato una lastra di compensato più piccola, ma vi rimando al link dell’autore per ulteriori dettagli e misure (perfetti per il mio nuovo forno professionale della Effeuno).
Ho voluto anche realizzare un manico lungo che mi evitasse ustioni nell’infornare!

Da segnalare che – visto che anche il mio forno casalingo lo permette – io poggio la pietra su una griglia facendo si che il lato corto tocchi il retro/fondo del forno.
Praticamente sulla destra e sulla sinistra della pietra resta molto spazio.

Questo per dire che la forma della pala/barella autocostruita è adatta per essere infornata in verticale!!!

La spesa è stata praticamente nulla: avevo tutto in casa.

Occorrente per questa realizzazione (in base a quello che avevo in casa):
– 1 tavola multistrato almeno di cm. 40 x 30 x mm. 6;

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Vecchia lastra di compensato riadattata allo scopo

– 3 pezzi di multistrato da mm. 6 di spessore per fare il manico a baionetta che ho fatto uscire di 9 cm. dalla barella (2 da cm. 15 x 5 e 1 da cm. 9 x 5 che ho ricavato da una vecchia scatola di sigari cubani). Da notare che, almeno la lastra centrale più corta delle altre due, dovrà necessariamente avere lo stesso spessore del pannello che poi diventerà la nostra pala; in questo caso dovrà necessariamente essere di 6 mm di spessore;


– 1 telo forte 100% cotone bianco circa cm. 84 x 32 o più (io ho diviso in due un vecchio asciugamano da circa 90 x 70 per realizzarne uno in più di ricambio);


– 2 aste di legno piccole da cm. 30 x 2 x 1;

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è si-WP_20190911_17_52_34_Rich-1-1024x548.jpg


– 1 asta di legno grande da cm. 44 x 4 x 2;

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è si-WP_20190911_17_52_55_Rich-1-1024x514.jpg


– 2 dorsi da cancelleria da cm. 30 di metallo (per ora ho risolto con quelli in plastica e anche con le alte temperature, per il momento, non si sono danneggiati: sono comunque coperti dal telo);


– 2 molle da cancelleria da cm. 5;

– una cerniera;


– vinavil, seghetto, taglierino e una bella lastra di legno vecchia sulla quale lavorare liberamente senza paura di rovinarla!


Procedimento:

– Tagliare con un taglierino/seghetto il foglio di multistrato creando una pala di dimensioni cm. 40X30; lisciarla su tutti i lati e gli angoli;

– sistemare i 3 piccoli pezzi di multistrato e incollarli fra di loro per realizzare il manico a baionetta della pala; incollarli poi incastrandoli sulla pala;

– Inserire i dorsi da cancelleria tagliandoli dove necessario.
Questo serve per garantire che non ci sia attrito quando faremo scorrere il tessuto sulla pala per posare la pizza sul fondo del forno;

– Tagliare il telo di cotone in questo modo, ricucendo i bordi per evitare che si sfilaccino col tempo (non so se è meglio, ma li ho appositamente fermati senza creare un orlo, per non creare spessori non voluti);
 

– Creare una piccola tasca all’estremità ripiegando la parte superiore del telo, dove andremo ad inserire una delle due aste di legno piccole;
– L’altra asta andrà a combaciare sulla prima, ma al di fuori della tasca di cotone;
– La tasca, le aste e i lembi di stoffa sovrapposti verranno tenuti uniti dalle molle nere;
– Unire telo e foglio di multistrato in questo modo
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– Se non volete cucire, inserite le molle per bloccare il tutto, altrimenti cucire i due lembi all’altezza dell’impugnatura (dove abbiamo inserito il manico di legno).
Consiglio comunque di non cucire perché sia facilitata la rimozione del telo sporco quando si deve lavare.

– Al centro dell’asta piccola esterna ho applicato una cerniera che mi permettesse di fissare un’asta abbastanza lunga che mi facesse da manico, per evitare le ustioni nell’avvicinare troppo le mani al forno;

Alla fine dovreste ottenere qualcosa del genere (o sicuramente migliore).
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Apertura totale della pala con il lievitato da infornare (in questo caso non avevo nulla e ho messo un piatto a dimostrazione).

Come avete visto è tutto molto semplice e personalizzabile secondo le proprie esigenze.

Basta poco per migliorarla, come ad esempio farsi arrotondare da un falegname i bordi della pala, così eviterete di mettere i dorsi da cancelleria, oppure utilizzare un foglio di multistrato più spesso se di solito infornate pizze molto pesanti.

E’ molto utile per stendere pizza e pale e ricoprire tutto lo spazio a disposizione della piastra di argilla refrattaria.
Così come stenderete sulla pala così vi ritroverete la pizza appoggiata sulla pietra.
Garantito.

 

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PIATTO RICCO mi ci ficco (e piatti unici)

Tortilla de patatas y espinacas

Dopo diverse tortillas (la mia preferita, con cipolle, ma anche con zucchine, con peperoni), questa volta ho optato per la tortilla di patate e spinaci risparmiando un po’ sulle uova (so che non si dovrebbe, ma gli spagnoli mi perdoneranno).

Ingredienti per 2-4 persone
300 g patate
500 g spinaci
40-50 g cipolla (facoltativa, ma a me piace)
2 spicchi aglio
2 uova
2 albumi
abbondante olio e.v.o.
sale grosso
pizzico bicarbonato
paprika dolce (per dare un po’ di colore visto che mancano i tuorli).

Procedimento
La preparazione è la solita, ho cotto in padella ciascun ingrediente separatamente, tenendo di volta in volta da parte l’olio di cottura (lo userò in seguito).

Gli spinaci li ho lessati e leggermente salati (in un pentolone solo con l’acqua del loro risciacquo).
Li ho strizzati benissimo e poi ripassati in padella con aglio, che poi ho tolto, e con poco olio residuo della colatura di patate/cipolle.
Alla fine ho unito gli spinaci alle patate/cipolle ormai scolatissime, mescolando delicatamente con le mani per non far disfare le patate.

Per aumentare il quantitativo delle uova ho utilizzato anche due albumi.
Come dicevo, anche questa volta per preparare la frittata/tortilla finale ho usato l’olio scolato in precedenza.

Ho fritto la tortilla de patatas y espinacas in una padella grande, ma visto che il composto è denso, si riesce a mantenerla bella alta aiutandosi con una spatola e accompagnando il composto verso il centro, man mano che si cuoce e tende un po’ ad allargarsi.
Dopo i primi minuti di cottura per farla rapprendere, ho capovolto ripetutamente in un piatto relativamente piccolo, fino a formare per bene la pellicina (la cara) e fino a farla cuocere secondo il gusto desiderato (io relativamente poco, tanto è quasi tutto già cotto, poi un po’ si rapprende freddandosi, e comunque a me piace morbida).

21 maggio 2016

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LIEVITI e lieviti

Lievito in coltura liquida (avvio da pasta madre solida)

LICOLI DI GRANO DURO

Solitamente per i lievitati utilizzo il mio lievito in coltura solida (o più semplicemente pasta madre).
Pertanto, la prima volta che decisi di avere anche del lievito in coltura liquida (o licoli) ho pensato che la cosa più semplice da fare fosse idratare maggiormente un pezzettino di pasta madre per i futuri utilizzi.
Correva l’anno 2009; ero agli albori dell’utilizzo del licoli e seguendo questa discussione avviata dall’amico Nico (nicodvb sul forum non più attivo di Cookaround), mi regolai così:

Ingredienti

5 g di pasta madre solida di grano duro
60 g di acqua di mele (la semola di gd assorbe di più di altre farine, quindi qui troviamo il 120% di idratazione rispetto alla farina usata)
50 g di semola rimacinata di grano duro

Procedimento fotografico

Pasta madre di grano duro di partenza

 

5 grammi di pms di grano duro

 

Mele in ammollo per 24h. Poi filtrata l’acqua e utilizzata per il rinfresco (insegnamenti di un fornaio)

 

Aggiungo l’acqua alla pms (il display ballerino si è mosso mentre fotografavo)

 

Dopo aver prima sciolto benissimo con le dita la pms in acqua, aggiungo 50 grammi di semola rimacinata di gd e do una prima mescolata con una spatolina di silicone.

 

Passiamo alla fase frullatura di 2 minuti circa. Questo fa incamerare l’aria necessaria al nostro Lilì, per evitare al massimo la possibile acidità

 

Ecco come deve apparire da sopra: le bollicine indicano che il lievito ha incamerato aria

 

Do una pulitina con la spatola all’interno del vasetto per poter mettere un segno (pennarello, elastico, adesivo). Sarà più semplice vedere quanto crescerà. Lascio a temperatura ambiente (Roma era sui 25°C). Poggio il coperchio ma senza avvitare.

 

Dopo qualche ora dall’avvio non mi soddisfaceva la crescita, allora ho dato una ulteriore frullatina.

 

Ed eccolo dopo la cura. Più che triplicato. Esperimento riuscito.

Ho proseguito rinfrescando ogni 12 ore, partendo sempre da pochi grammi (es. 20 licoli + 24 acqua + 20 semola rimacinata di gd) fino a veder raddoppiare il licoli in 2-4 ore circa (a seconda della stagione).

Devo ammettere che col tempo ho preferito fare un rinfresco con dosi pari di tutto (licoli/acqua/semola gd), sia per avere un licoli leggermente più denso, sia per evitare di impazzirmi con conteggi vari nelle conversioni delle mie ricette.

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LICOLI DI SEGALE

Ancora una trasformazione, sempre da pasta madre, questa volta per avere del licoli di segale (9 dicembre 2009):

Ingredienti
20 gr di pms
20 di acqua di mele c.s. a 35-40°C (a seconda della stagione)
20 gr di farina di segale setacciata.

Procedimento
Ho sciolto la pms nell’acqua e aggiunto la segale.
Se viene una pastella troppo densa e si fa fatica a girare aggiungere qualche altro grammo di acqua.
Aspettare il raddoppio e annusare: se sa di frutta matura/mosto va bene, altrimenti rinfrescare aggiungendo altri 20-25 gr di acqua calda e 20 di farina.

Quando l’odore sarà quello giusto mettere il lievito in un barattolo coperto in frigo.

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LIEVITI e lieviti

Lievito in coltura liquida


Il mio lievito in coltura solida (o più semplicemente PASTA MADRE) continua ad essere la mia prima passione in materia di lieviti naturali, ma in questo blog mi sembrava carino dare spazio anche a Lilì, questo il nome che ho dato al mio lievito in coltura liquida (o li.co.li.), ormai diffusissimo anche in Italia, oltre che negli Stati Uniti dove si è usato in maniera preponderante in questi ultimi decenni.

Quella riportata in corsivo è soltanto la parte iniziale di una lunghissima discussione pubblicata dal mio amico Nico (nicodvb), a partire dal 23 maggio 2009 nel Forum di Cookaround (purtroppo ormai non più attivo), ma che potrà aiutare chi ancora non sa come avviare questo lievito, fornendo molte notizie utili, anche se soltanto a livello amatoriale.
Purtroppo ho dovuto depurare da molti link o riferimenti, non più attivi. In compenso ho aggiunto qualche foto di licoli.

IERI

Naturalmente questo articolo è solo una “vecchia” traccia; sta poi alla curiosità e la passione di ciascuno di noi saperne di più, studiando, seguendo corsi ad hoc e facendo esperimenti sul campo.

Una serie di licoli destinati al mio pane arcobaleno

Questo che “parla” è Nico:
“Mi scuso in anticipo per il papiro, ma gli argomenti un po’ insoliti vanno introdotti per bene.

Prima di iniziare voglio ringraziare Linda (La Vecchia Saggia) per aver avuto la pazienza di rileggere questa pagina introduttiva così tante volte, per avermi segnalato le incongruenze e mandato molte correzioni.
Un grazie anche a tutte le cookine che si sono prestate (consapevolmente o no) per fare da cavia.
Recentemente sono incappato in questa discussione di Giampaolo Mari, un uomo molto gentile che partecipa al forum di Coquinaria e che ha una grande esperienza di coltura e uso dei lieviti.
Ve lo riassumo in breve: il lievito naturale solido (come panetto) che usiamo abitualmente è solo una delle forme in cui è possibile tenere il lievito naturale, altre sono quella pastellosa (fluida e densa) e quella liquida (detta poolish).
Restringendo il discorso alla farina di grano tenero raffinata è possibile usare lo stesso peso di acqua e farina per ottenere lo stesso risultato, purché si seguano alcuni semplicissimi accorgimenti.
I vantaggi sono due:
– non bisogna perdere un sacco di tempo a fare i rinfreschi
– si riduce il rischio di ottenere dei lievitati acidi.
Per quanto riguarda il lievito di segale, del tutto analogo, devo ringraziare Roberto Potito e il suo post in Panperfocaccia.eu.

ALCUNE PREMESSE IMPORTANTI

  • il lievito va conservato in un contenitore di vetro o di ceramica o di terracotta; assolutamente non in uno di metallo (con il quale reagirebbe a causa dell’acidità della pastella) o di plastica (non mi ricordo perché); in frigo è meglio tenere il lievito coperto con il suo tappo ermetico per non farlo entrare in contatto con la flora del frigo (molto ricca), mentre fuori il tappo va solo appoggiato per permettere un po’ di ricambio di aria.
  • non ho seguito alla lettera in tutti i punti il metodo indicato da Giampaolo Mari perché mi sono trovato bene con minuscole modifiche, ma il principio sul quale mi sono basato è indiscutibilmente lo stesso che lui descrive.
    Se ho commesso degli errori l’ho fatto in buona fede.
  • durante tutti i rinfreschi è molto importante seguire un accorgimento: dal momento che in assenza d’aria la fermentazione tende a rilasciare gli acidi acetico e butirrico (che danno un sapore orribile ai lievitati, il caratteristico sapore di aceto di una lievitazione inacidita) è necessario lavorare l’impasto in modo da incorporare quanta più aria possibile.
    Come? Facilissimo!
    Con il frullatore (anche con una sola frusta), dopo aver amalgamato per bene l’impasto: girate ad alta velocità per un paio di minuti e il gioco è fatto.
    Per sapere se avete incamerato abbastanza aria basta osservare la superficie: devono esserci delle bolle.
    Ne consegue che un impasto solido tende ad inacidire molto più facilmente di uno liquido, perché incamera molta meno aria (infatti sappiamo che ci vogliono mesi per far perdere un po’ di acido alla pm tenuta come panetto).
  • la consistenza del lievito liquido è quella di una pappetta che si può girare senza alcun problema con un cucchiaino, cioè non deve attorcigliarcisi intorno, ma non deve neanche essere così liquida da sembrare una crema.
    Se la consistenza non è quella giusta aggiungete farina o acqua per compensare.

COME INIZIARE LA COLTURA DEL LIEVITO
Partire da un altro lievito naturale:
Se avete già un lievito naturale di qualunque tipo, compresa la solita pasta madre in panetto, anziché partire da zero potete fare un lievito liquido già pronto all’uso in brevissimo tempo sciogliendo 30 gr di pm in 40 di acqua e unendo 30 gr di farina 0 oppure 00, frullando e lasciando lievitare fino al raddoppio.
Se dopo 6 ore il lievito non sarà cresciuto rimescolate con il frullatore perché questa operazione gli dà una bella sferzata di vita.

Se dopo 12 ore il lievito non sarà ancora cresciuto aggiungetegli una quantità maggiore di pm solida sciolta nella stessa quantità di acqua e farina, p.e. 20 gr di pm in 20 gr di acqua più 20 gr di farina, ovviamente amalgamando tutto insieme. In questa fase non buttate via parte dell’impasto precedente come si fa nel caso dei rinfreschi.
Non serve altro: potete usare il lievito subito o metterlo in frigo al posto della pasta madre e liberarvi dalla schiavitù del rinfresco con impasto (in questo – io Linda – non sono daccordo: va saputa gestire, tutto là! Molte volte, nel silenzio della notte rinfresco la palletta di pms senza alcun rumore dovuto a frullature, ecc. e il sapore lasciato dai robusti batteri lattici/acetici della pms nel mio pane non li dà nessun altro lievito).
Io ho seguito questo metodo per fare il lievito di grano duro a partire da quello di segale.

PARTIRE DA ZERO
…..
Come spiegato in una risposta, descrivo uno dei tanti metodi possibili (ma sicuramente non l’unico) per preparare da zero il lievito naturale liquido: in un bicchiere sciogliere una puntina di zucchero e 2 gocce di aceto (meglio se balsamico) in 50 gr di acqua (meglio di bottiglia, il cloro non aiuta i lieviti) e mescolare con 50 di farina; ogni 12 ore buttarne dai 30 ai 50 gr e aggiungere 15 gr di acqua e 15 di farina (o 25+25, a seconda di quanta pastella avete buttata).
Prima o poi la pastella lieviterà, prima sotto forma di bollicine in superficie con l’aspetto di una schiuma, poi come sollevamento vero e proprio dell’impasto.
Continuare a rinfrescare nel solito modo fino a che l’odore non diventi acidino (prima sarà di formaggio e poi alcoolico).
A quel punto il lievito sarà pronto all’uso e si potranno diradare i rinfreschi come indicato in seguito.

Durante i primissimi giorni (fino alla prima lievitazione) si potrebbe arricchire il lievito usando come liquido l’acqua di infusione di una mela matura lavata, tagliata a pezzetti e tenuta a bagno per un giorno.
Il mio lievito è partito al quarto rinfresco; a quel punto ho diradato la frequenza ad un solo rinnovo al giorno fino a che non ha preso l’odore del lievito maturo.
C’è da notare che, data l’idratazione molto maggiore, gli odori del lievito liquido sono molto attenuati rispetto a quelli dei lieviti solidi.

In altri esperimenti fatti ho notato che il lievito di grano duro, preparato con gli stessi pesi di farina e acqua – ma con qualche goccia in più di acqua se l’impasto risultasse più denso del necessario – più un cucchiaino di yogurth è maturato del tutto in soli 4 giorni; un altro lievito fatto solo con acqua e farina integrale è partito al primo giorno e maturato in 5.
In definitiva può essere conveniente e più veloce partire da un lievito di grano duro e convertirlo in lievito di grano tenero a maturazione avvenuta (per farlo è sufficiente preparare un poolish con 50 gr di acqua, 10 di lievito e 50 di farina 0).

Per la prima settimana conviene rinfrescare comunque una volta al giorno, poi ogni 2 giorni se tenuto a temperatura ambiente o ogni 7 giorno se tenuto in frigo.
Una volta maturo il lievito può essere conservato in frigo e rinfrescato una volta alla settimana.
Un consiglio: è assolutamente inutile tenerne più di 100 grammi, perché questo lievito serve solo da inoculatore per la biga, o meglio per il poolish che useremo come biga.

Il momento giusto per mettere il lievito in frigo è quando raggiunge un volume poco meno che doppio rispetto a quello iniziale dopo aver fatto il rinfresco (facciamo 1.5 volte x): bisogna nutrirlo ma rallentare il suo metabolismo per impedirgli di mangiare subito tutto il nutrimento.
Nota importante sui rinfreschi: Giampaolo Mari rinfresca con una quantità di farina decisamente maggiore di quella che ho indicato: lui usa 200 gr di lievito, 100 di farina e 130 di acqua (ma lui usa la manitoba, con la farina tipo 0 userebbe 100 gr di acqua). Finora io mi sono trovato bene rinfrescando in proporzioni 70:15:15 (70 gr di lievito, 15 di acqua e 15 di farina, in cui la farina nuova pesa almeno il 20% rispetto al rinfresco), ma non è detto che sia il metodo migliore (anche io – Linda – lo faccio, e diciamo che è il minimo sindacale per il mantenimento del licoli, ma a ridosso di una preparazione faccio il canonico rinfresco, pari di tutto e cioè 1:1:1).
Tenete a mente l’esempio di Giampaolo e considerate l’opportunità di rinfrescare con più farina se il lievito dovesse indebolirsi
(infatti io – Linda – solo di tanto in tanto, ma rinfresco con rapporto 1:2:2, specialmente se voglio partire al mattino successivo con una preparazione e non voglio correre rischi di trovare il Lilì slievitato).
Inoltre lui dice che il lievito tirato fuori dal frigo può aver bisogno anche di 2 o 3 rinfreschi (a seconda della permanenza al freddo) per tornare in vita.
Io non l’ho mai tenuto così a lungo, quindi non so dirvi niente al riguardo.

Il mio lievito è maturato in 5 o 6 giorni, non ricordo di preciso, e ci ho fatto le deliziose briochine di kiki100 che vi ho mostrato (Diana mi ha chiesto come ho fatto a farle crescere in quel modo).

IMPORTANTE: non mettere il lievito in freezer. Ho provato a congelare un lievito ben attivo e allo scongelamento, nonostante i ripetuti rinfreschi, non sono riuscito a riportarlo in vita.

UN ESEMPIO DI INIZIO COLTURA
Leggete qui come La Vecchia Saggia ha fatto partire una coltura di lievito liquido di grano duro a partire da un panetto solido di gd.
Il procedimento vale anche per un lievito di grano tenero (farina bianca o ordinaria).

Io stesso non avrei potuto descriverlo meglio di come ha fatto Linda.

COME USARE IL LIEVITO
Il metodo che seguo (del tutto empirico) per decidere quanto poolish preparare per fare un lievitato di qualsiasi tipo (pane, dolci, etc.) è semplicissimo: uso 1/4 della farina richiesta dalla ricetta con lo stesso peso di acqua o latte (a seconda dell’ingrediente richiesto) e la giusta quantità di lievito liquido; questa quantità dipende dalla temperatura e dal tempo di fermentazione.
Quando la temperatura non è molto alta (fino a 25-26 gradi) io uso una quantità di lievito liquido pari al peso della farina del poolish diviso per 10 (p.e. se nel poolish prevedo di usare 150 grammi di farina e 150 grammi di acqua o latte, nel poolish userò 15 grammi di lievito); se invece è molto caldo divido per 15 (in alcuni casi estremi anche 20); in ogni caso faccio lievitare il poolish per circa 10 ore (di solito dalle ore 22 alle 8).

Aggiornamento a posteriori.
Rula e io abbiamo verificato che si può preparare il poolish anche in un modo diverso: abbiamo usato lo stesso peso di lievito, acqua e farina (p.e. 50 gr + 50 gr + 50 gr) e lo abbiamo lasciato lievitare fino al raddoppio (nel suo caso 3 ore e mezza, nel mio meno di cinque), per poi mischiarlo al resto dell’impasto come al solito.
Il risultato è stato del tutto identico a quelli ottenuti in precedenza, senza alcuna conseguenza negativa.

Un trucco per fare poolish e rinfresco in un passo solo:
Kiki100 ha osservato che è possibile fare con una sola operazione il rinfresco del lievito e il poolish purché entrambi siano fatti con lo stesso tipo di farina (p.e. farina 0 o 00) e con la stessa idratazione (p.e. per il grano tenero al 100%): in un contenitore più capiente mescolare il lievito con l’acqua e la farina necessarie al poolish, operando come al solito con le fruste, poi lasciar lievitare; al termine della lievitazione rimettere la quantità iniziale di lievito nel suo barattolo, aggiungere acqua e farina per nutrirlo, farlo iniziare a lievitare e riporre il lievito in frigo.
C’è da osservare che quest’operazione richiede sicuramente meno tempo per lievitare di quanto ne servirebbe a fare il poolish ordinario con poco lievito, ha inoltre il vantaggio di nutrire il lievito (quindi di rinfrescarlo). Tuttavia c’è anche da osservare che è teoricamente possibile correre un rischio: se il leivito non è in ottime condizioni (cioè se è molto acido o alcoolico o formaggioso) le sue proprietà si propagheranno al poolish molto più estesamente che con il poolish ordinario, ma è anche vero che con un lievito in quelle condizioni nessuno dovrebbe sognarsi di fare un lievitato.
In ogni caso, per prudenza, prima di procedere con questo procedimento consiglio di assaggiare il lievito per rendersi conto se è in buona forma.
Può capitare che nella ricetta sia richiesta una quantità di liquidi insufficiente ad eguagliare il peso della farina da usare nel poolish, nel qual caso bisognerà ridurre anche il peso della farina e accontentarsi di un poolish di quantità minore e di un’eventuale prolungamento della seconda lievitazione (p.e. se nella ricetta sono richiesti 500 gr di farina e 100 di acqua il poolish dovrà essere fatto con 100 gr di farina e 100 di acqua).
Sciolgo il lievito liquido nell’acqua, mescolo con la farina, frullo, copro con il coperchio e lascio lievitare.
In questo caso, il momento ideale per impastare il lievito con tutti gli altri ingredienti è quando esso raggiunge l’apice della sua lievitazione, cioè appena prima che inizi a collassare.

Di solito il lievito liquido riesce non solo a duplicare il suo volume, ma anche a triplicarlo; per sapere con esattezza quanto può salire bisognerebbe osservarlo e imparare a conoscere il suo comportamento, ma se non si può bisogna andare ad occhio, quindi dategli il tempo per raggiungere un volume almeno doppio.
Importante: il poolish è assimilabile alla lievitazione che si fa prima della messa in forma.
Dopo averlo fatto lievitare fino al raddoppio del volume bisogna organizzare l’impasto in modo che non inacidisca, quindi potete scegliere di seguire una delle due strade:

  • quando il poolish sarà lievitato impastarlo con tutti gli altri ingredienti e fare UNA SOLA LIEVITAZIONE mettendo l’impasto direttamente in forma. Di solito quest’ultima lievitazione dura meno del poolish: finora ho osservato tempi dell’ordine di 4-5 ore per il pane, un po’ di più per i dolci
  • distribuire il resto degli ingredienti in due tempi: prima tutto il poolish con la prima dose, poi – dopo aver fatto lievitare questo primo impasto- unire tutti gli ingredienti rimanenti.
    In questo modo i fermenti verranno continuamente nutriti e non dovrebbero esserci rischi di acidità.

LA DENSITÀ DEL LIEVITO
È molto importante che il lievito raggiunga il giusto livello di densità, in modo da poter crescere durante i rinfreschi.
È stato segnalato da GPMari (e verificato da tutti noi del gruppo) che in seguito alla maturazione il lievito aumenta di densità.
Riporto una tabella sommaria per indicare la giusta percentuale di idratazione dipendente dal tipo di farina usato:

  • farina di grano tenero tipo 00 = ~90% (dipende dalle caratteristiche)
  • farina di grano tenero tipo 0 = 100%
  • farina o segale di grano duro = 120%
  • farina manitoba tipo 0 = 130%
  • farina integrale di segale = 150%
  • farina integrale di grano tenero: 100%
  • farina di farro = n.d. (fatemelo sapere)
  • farina di kamut = n.d. (fatemelo sapere)

licolì preparato in occasione di un Pane Nero di Castelvetrano

COSA FARE SE IL LIEVITO FA LE BOLLICINE MA NON CRESCE
Se la superficie del lievito si riempie di bollicine minuscole, fino a formare una schiumetta, il lievito sta fermentando; se non cresce evidentemente la densità è troppo bassa.
In questo caso è necessario aumentare la quantità di farina fino ad avere una pastella che opponga un minimo di resistenza quando la si gira con il cucchiaino e un minimo di incordamento quando lo si mescola con frullatore.

Riporto un esempio preparato da Smaryyns76/Martina per calcolare la quantità di poolish necessaria alla ricetta.

Come calcolare la quantità di poolish da preparare per sostenere la lievitazione?
Ipotizzando una ricetta per pizza che preveda 1000 gr di farina, 500 di acqua, 20 gr di sale e 20 gr di olio:

  • per la quantità di farina calcolare 1/4 del peso totale della farina necessaria nell’impasto, quindi in questo caso 1000:4= 250g
  • la quantità d’acqua per il poolish deve essere di peso uguale alla farina, quindi in questo caso 250g
  • la quantità di lievito liquido da aggiungere è pari a 1/10 del peso della farina, quindi in questo caso 250:10= 25g

A questo punto bisogna sciogliere il lievito liquido nell’acqua, amalgamare la farina, frullare il tutto e lasciarlo lievitare circa una decina di ore o fino al raddoppio di volume, dopodichè aggiungere la restante farina e l’acqua rimanente.
In questo caso al poolish, completata la lievitazione, andranno aggiunti i restanti 750g di farina e i restanti 250g di acqua più gli altri ingredienti: sale e olio.

COSA FARE SE IL LIEVITO INACIDISCE ECCESSIVAMENTE

Premesso che è necessario che il lievito liquido sia leggermente acido per proteggersi dalle muffe a volte è necessario addolcirlo un po’.
Se il suo sapore diventa troppo simile a quello dell’aceto è necessario sottoporlo a uno o due risciacqui/bagnetti in questo modo:

–fare un rinfresco con 50 gr del lievito, 100 gr di acqua, 5 gr di zucchero e 50 gr di farina e lasciare che lieviti fino a riempire la superficie di bollicine (sotto forma di schiuma); non ci sarà alcuna crescita perché la densità sarà troppo liquida.
Indicaticamente 8 ore dovrebbero essere sufficienti

–fare un secondo risciacquo con la stessa procedura ma senza zucchero, quindi usando 50 gr del risciacquo precedente, 50 gr di farina e 100 di acqua e aspettare ancora che la superficie si riempia di schiuma
–fare un rinfresco ordinario usando 50 gr del risciacquo, 50 di acqua e 50 di farina, lasciar lievitare e assaggiare il lievito al termine al momento del raddoppio: se ha un sapore meno acido il risciacquo è riuscito, altrimenti ripetere l’operazione.

COSA FARE SE IL LIEVITO SI INDEBOLISCE

A volte il lievito si indebolisce e inizia a lievitare molto più lentamente del solito.
In una situazione simile si possono adottare queste contromisure, adottando la seguente solo se le precedenti non hanno avuto esito:
–aggiungere al rinfresco successivo, ma una sola volta, del miele o dello zucchero o del malto
–addensare un po’ il lievito con più farina
–se se ne ha, aggiungere al lievito un po’ di pasta madre sciolta nell’acqua del rinfresco.”

… e finiamo con un licoli di segale, tanto amato da nicodvb

Si continuava con qualche esempio di ricette, ma foto e link sono andati persi.
Dopo l’avvio di questa prima discussione si proseguì negli anni con migliaia di messaggi e moltissimi amanti si avvicinarono a questo tipo di lievitazione naturale.

OGGI

Oggi possiamo dire che negli ultimi tre anni, molti esperti (vedi il preparatissimo Riccardo Scevaroli, o il grande Giambattista Montanari, coi loro scritti e i loro corsi) – nell’intento di avvicinare alla pasta madre solida, notoriamente con acidità tendenti all’acetico (vedi aromi, shelf-life, ecc.) le caratteristiche del licoli (con acidità più tendenti al lattico) – ci suggeriscono gestioni leggermente diverse nel mantenimento di quest’ultimo, addirittura con l’aggiunta di una piccola quota di farina integrale (oggi io rinfresco con una ratio 1:1:0,80), tanto da arrivare a realizzare con questo lievito addirittura i GL (grandi lievitati), cosa impensabile da proporre fino a qualche anno fa, se non altro per la minore conservazione di un panettone, pur ottimo, realizzato con licoli.

DOMANI … ?

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PANE, pizze, pizzelle e dintorni

Pizza fritta napoletana

Lo spunto l’ho preso dalla ricetta della pizza fritta di Maria Cacialli.
Finalmente una donna, nel panorama interplanetario di pizzaioli, a raccontare uno dei primi “street food”, narrati anche nel film “L’oro di Napoli”.
Ho convertito la lievitazione con lievito liquido e ho usato una farina tipo 0, integrandola questa volta con 40 g di farro, per un valore di forza totale di circa W300.

Qui la descrizione di come funziona questo calcolatore col quale mi sono aiutata per dosi e procedimento (quella indicata come pasta di riporto è il mio lievito liquido):

INGREDIENTI
349 g farina W300 (309 tipo 0 + 40 g farro integrale setacciato)
227 g acqua
79 g lievito liquido di 6 ore e mezza prima
6 g sale

PROCEDIMENTO
Impasto e riposo per un totale di 1 ora a temperatura ambiente, poi la massa in frigo per 11 ore per la puntata.
Dopo lo staglio in 4 panielli ho fatto un appretto di 4 ore a temperatura ambiente.

Ho steso poi ciascuna pizza riempiendola per metà con il ripieno.
Ho poi chiuso una metà sull’altra sigillando bene.

Ricordo che il ripieno classico solitamente è cicoli, ricotta, provola e pepe.

Per carenze di ingredienti (ho preparato questa pizza fritta durante il periodo covid-lockdown), ho cercato di fare il ripieno più simile possibile all’originale, ma “chill’ tenev’”, quindi questo è il mio improbabile, ma ottimo mix: mozzarella di bufala scolata, crema di panna/pecorino, pezzettini di magro di guanciale, maiale cotto (ho approfittato di un po’ del mio pulled-pork) e pepe verde.

Le pizze fritte tipiche sono molto grandi, ma mi sono limitata ad un quantitativo per paniello di 165 g circa (direi che potrebbe andare anche con una dose minore) perché per la frittura ho usato una padella di ferro di “soli” 28 cm di diametro.

Sopra, il classico movimento che ho visto fare con una “schiumarola” per tirare su l’olio bollente da versare ripetutamente sulla pizza che sta friggendo.
Spero si percepisca dalla foto, ma è tutto riportato nel link della Cacialli.

Il sapore e la sofficità finali mi hanno ricordato i calzoni che mangiavo qui a Roma, in una rosticceria alla Garbatella.
Che dire!?! UNA BONTA’!

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SECONDI, SFIZI E STREET-FOOD

Bocconcini di pollo al forno

Come mio solito, dopo decine di ricette trovate online dalle quali prendere spunto, ho trovato la mia versione per questo famigerato “street food”, realizzato con cubetti di sovraccosce e non con petto (a mio gusto più stoppaccioso), e cotto in forno anziché fritto.

Anche questa come altre, è una ricettina pubblicata in occasione di un contest de La Confraternita della Pizza, che ci ha coinvolto e tenuti impegnati in questo periodo complicato e drammatico del covid-lockdown.
Non avevo tutti gli ingredienti che avrei voluto ed ero rimasta senza uova, ma… leggere sotto la mia alternativa.

https://www.lavecchiasaggia.com/wp-content/uploads/2020/06/2-Pol-IMG_1212.jpg

INGREDIENTI per 3-4 porzioni
320 g sovraccosce acquistate già in pezzi senza pelle e disossate
1 o 2 “uova” (non ne avevo, quindi ho sostituito con 15 g lecitina di soia e 80 g albume in brik)
1 cucchiaino di sale
1 tazza pangrattato mescolato con poco parmigiano reggiano grattugiato, prezzemolo, noce moscata
Farina debole bio (ho fatto 4 parti di farina 0 da 11 g di proteine e 1 parte di amido di mais)
Buccia grattugiata di un limone non trattato
Olio extra vergine di oliva

https://www.lavecchiasaggia.com/wp-content/uploads/2020/06/3-IMG_1213-1024x768.jpg

PROCEDIMENTO
Mi sono trovata bene a preparare i bocconcini adagiando il tutto su un grande vassoio di ceramica.
In una parte di questo ho disposto le sovraccosce acquistate dopo averle sciacquate e asciugate, tagliandole in pezzetti più piccoli e rimuovendo qualche nervatura o grassetto.
In una ciotola ho frullato per bene la lecitina, l’albume scongelato e il sale.
Ho miscelato poi pangrattato, parmigiano e noce moscata.
Ho prima infarinato i pezzetti di pollo, poi li ho passati nell’”uovo”, quindi nel pangrattato e disposti direttamente sulla pirofila con cartaforno, spruzzando prima dell’olio su questa.

COTTURA
Ho spruzzato altro olio su tutti i pezzi e infornato preriscaldando a 180°C ventilato per 20′, girando i bocconcini, spruzzando altro olio e ruotando la teglia a 5′ dalla fine della cottura.
Servire caldi con qualche goccia di succo di limone se desiderato.
Ho conservato in frigo una piccola porzione di “left over” e li abbiamo consumati scaldandoli in microonde con la sola funzione grill!

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PIATTO RICCO mi ci ficco (e piatti unici)

Parmigiana senza parmigiano

So che non è la cosa migliore mangiare le verdure fuori stagione, ma con la spesa online di questo periodo immediatamente post covid-lockdown, mi sono dovuta accontentare.
Fra le altre cose, oggi lo shop online mi ha fatto pervenire delle piccole melanzane lunghe e finissime, dei pomodorini, un panetto di mozzarella, ma non avevano il parmigiano che avevo ordinato.

La prima volta in cui mangiai una simil-parmigiana con questi ingredienti era il marzo del 2009 ed ero andata in Germania a trovare un figlio che studiava lì; in un piccolo ristorantino con proprietari di origini turche ci servirono un piatto analogo, partendo da ingredienti “a crudo”, quindi non fritto, e senza parmigiano; devo dire molto più fresco e leggero della nostra seppur inarrivabile “melanzana alla parmigiana”.

Dopo averla preparata di tanto in tanto in questi anni, oggi la ripropongo con qualche fotografia.

Ingredienti (per 6-8 persone):
– Kg. 1,200 melanzane Violetta
– 500 gr di pomodorini
– 400 gr circa di mozzarella in panetto
– pangrattato
– cipolla
– basilico (o origano)
– sale
– olio e.v.o.
– peperoncino a pezzettini (facoltativo, oppure olio al peperoncino)

Procedimento:
– ho affettato le melanzane e, visto che me le hanno vendute come dolcissime, non le ho neanche messe sotto sale a perdere l’amaro in eccesso
– ho tagliato a pezzetti i pomodorini e la mozzarella
– ho unto la leccarda grande del forno e ho spolverato con pangrattato
– ho cominciato a fare gli strati con le melanzane crude (io ne ho fatti 3), i pomodorini tagliati a metá, la cipolla affettata finemente, mozzarella, basilico, sale, poco olio, un po’ di peperoncino fresco a micropezzettini
– volendo, completare l’ultimo strato spolverando con pangrattato (questa volta non l’ho fatto).

Cottura:
– ho infornato preriscaldando per un totale di un’ora e un quarto con funzione statica, prima a 180°C per 40 minuti, poi ho ruotato la teglia e ho proseguito altri 20’ a 170°C; infine, visto che si stavano colorendo un po’ troppo, ho proseguito gli ultimi 15’ riparando le melanzane con un’altra teglia mettendola sul binario superiore.

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SALSE, sughi, condimenti, erbe

Salsa alla carlofortina

Tempo fa, a ridosso del Natale 2010, un ex compagno di piscina mi suggerì una pasta al sapore di mare da portare in tavola per l’imminente Vigilia, tale “Salsa alla Carlofortina con bottarga di muggine”.
Non ne avevo mai sentito parlare e, come faccio di solito, dopo una ricerca in rete sulla base degli ingredienti suggeriti dal giovanotto, e cioè bottarga, tonno e pesto, ho estrapolato la mia ricetta.

Per accompagnare questa salsa (che ha una storia multiculturale, con le sue origini liguri-sarde-tabarkine), mi è sembrato carino scegliere le trofie, un tipo di pasta ligure (queste, preparate qualche giorno fa e, appunto, surgelate).

Ingredienti (per 6 persone)
800 g trofie fresche
400g di tonno rosso fresco
20 pomodori ciliegini
1 cipolla media
mezzo bicchiere di vino
olio extra vergine d’oliva
pepe verde (e/o peperoncino)
poco sale
200 g pesto genovese
bottarga di muggine grattugiata per guarnire il piatto

Procedimento
Ho lavato, asciugato, tagliato il pesce a cubetti e versato nella padella dove avevo messo ad imbiondire olio, cipolla e poco peperoncino.
Ho sfumato con vino, fatto evaporare e aggiunto i pomodorini per una breve cottura, fino a far addensare un pochino.

Nel frattempo ho scolato le trofie lessate, le ho versate nella padella con la salsa a fuoco ancora acceso e ho fatto saltare per qualche istante.
Ho aggiustato di pepe (lo uso verde, mi risulta meno caloroso).
Ho impiattato e, su ciascun piatto, ho aggiunto una generosa cucchiaiata di pesto e una spolverata di bottarga di muggine grattugiata.

L’idea in più
Piccolo suggerimento per una pizza napoletana verace preparata con la carlofortina “scomposta”:
sotto, pesto a pezzettini surgelato (altrimenti cuoce troppo);
sopra, salsa con tonno a piccoli cubetti,
sopra mozzarella,
in uscita spolverata di bottarga di muggine.

 

In passato, in occasione della preparazione delle lorighittas, splendida pasta sarda, feci questa salsa anche senza pomodori: deliziosa ugualmente!

Le lorighittas del Natale 2010 con salsa carlofortina in bianco.

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PASTAiola, primi e pasta fatta in casa

Trofie con grano tenero

Purtroppo in questo periodo di covid-lockdown non ho in casa la semola di grano duro adatta alla preparazione delle trofie, né posso/voglio girovagare a cercarla.

Pur avendo soltanto della farina di grano tenero, la scelta tuttavia è caduta ugualmente su questo tipo di pasta homemade, perché vorrei condirla con la salsa alla carlofortina in previsione per domani: quale formato migliore del connubio fra trofie liguri e salsa di Carloforte?!!

Non solo! Avevo una splendida mattonella per fare gli “andarinos” (che naturalmente non sono ancora capace di fare), e per ricavare le trofie ho utilizzato quella!

Quindi ho formato questa pasta con quello che avevo e, per renderla più gialla, ho aggiunto un pizzico di curcuma al tipo di impasto ben elastico, che mi era molto piaciuto e che avevo già preparato per i miei gyoza.

INGREDIENTI per 4 persone:
400 g farina debole
240 g acqua bollente
2 cucchiaini olio
½ cucchiaino raso di curcuma
½ cucchiaino raso di sale

PROCEDIMENTO
Ho impastato tutto in una ciotola con una forchetta, poi ho trasferito sullo spiano e ho continuato ad impastare per una decina di minuti.
Ho fatto riposare ancora una mezz’ora e reimpastato.

Mantenendo l’impasto riparato con un canovaccio umido per non farlo seccare, ho ricavato dei rotolini e formato dei cilindretti (tipo gnocchi piccolini).

Ho rotolato ciascun cilindretto prima verso l’esterno e poi – secondo uno dei metodi individuati – ho rotolato verso di me in obliquo (altri metodi come questo su yt rotolano soltanto l’impasto fra le mani).
Il “ritorno” l’ho effettuato direttamente sulla mattonella rigata.

Queste trofie, un po’ diverse dalle solite, mi sono sembrate molto carine anche se qualcuna somigliava agli andarinos.

Ho fatto cuocere in acqua bollente salata per circa 5 minuti dalla ripresa dell’ebollizione.