Categorie
PANE, pizze, pizzelle e dintorni

Pizza in teglia con pasta madre Bonci

Questa è la versione che ho riadattato della pizza di Bonci, denominandola la mia “pizza indecisa”.
La prima indecisione ho fatto presto a superarla: seguire ciò che ha suggerito Bonci per la pasta madre mi sembrava veramente esagerato (anche perché io non voglio lievitazioni brevi), quindi invece del 30% circa di pm ne ho messa l’8% circa.
Naturalmente questa è la prima prova alla quale sicuramente ne seguiranno altre per poi trovare la mia pizza Bonci preferita senza indecisioni.

Ingredienti per 2 teglie 40×30 più 1 piccola 28×18 (se volete la pizza più spessa usate solo le due teglie grandi):
– 600 gr di farina (375 g grano tenero tipo 0, 165 g manitoba tipo 0, 60 g solina)
– 480 g acqua oligominerale
– 50 g pasta madre (rinfrescata per la II volta, 4 ore e mezza prima)
– 18 g sale (un cucchiaio raso circa)
– 18-20 g olio e.v.o. (un cucchiaio e mezzo circa)
totale dell’impasto 1165 grammi
Preparazione:
Alle 17,00 ho unito la farina con quasi tutta l’acqua, poi ho aggiunto la pasta madre sciolta in parte dell’acqua totale fino a formare una pastella.
Ho aggiunto i 18 g di sale che avevo sciolto in un po’ di acqua, sempre presa dal totale, i 18 g di olio e ho mescolato prima con una forchetta (poi, non mi piaceva per niente com’era venuto e ho … messo le mani in pasta un pochino… ).
Visto che la mia pasta madre era probabilmente poca per questo mio primo tentativo, ho lasciato riposare un’oretta (e non 10 minuti) prima di dare le 3 pieghe che ho visto dare nel video per far asciugare l’impasto.
Ho quindi lasciato riposare ancora un’oretta.

Alle 19,15 ho messo a lievitare nella parte bassa del frigo

Intorno alle 16,00 del giorno dopo ho tolto l’impasto dal frigo e l’ho steso sul tavolo (dopo soltanto 20 ore e mezza in quanto l’impasto già stava facendo delle bolle..)
ho poi trasferito nelle teglie questo impasto che scappava da tutte le parti.
Ho lasciato in teglia per 2 ore e mezza circa coprendo per non far seccare (questa è la seconda indecisione, visto che avrei voluto fare come dice Bonci, e cioè infornare subito, ma sono stata combattuta e infine ha vinto il mio solito modo collaudato di cuocere, e cioè dopo qualche ora dalla stesura).


Poco prima delle 20,00 ho infornato la prima teglia.
Ho preparato per tempo il forno e, dopo aver condito senza mettere tutta la mozzarella (fatta scolare per qualche ora), ho infornato una teglia alla volta nella parte bassa del forno.
(qui Bonci dice di spostare dal basso al centro la teglia. Io ho trovato che – per il mio forno – è meglio proseguire sotto: mi piace una pizza ben cotta anche sotto e non bianchiccia).
A fine cottura ho aggiunto un po’ di mozzarella e reinfornato per gli ultimi 5 minuti.
In tutto la pizza ha cotto per circa 20 minuti dopo aver portato il forno a 270°C e infornato a 250°C.



queste due ultime foto per mostrare – più che l’alveolatura della fetta – soprattutto come è venuta fina nella parte centrale (come dicevo sopra, se vorrete una pizza più sofficiosa, sarà meglio suddivivere l’impasto in due teglie soltanto).
Dopo un’ulteriore prova, direi che la mia pizza in teglia con pasta madre resta la mia preferita (da un’idea di Accademia del Pane). E’ più laboriosa da lavorare, ma il risultato finale a me viene migliore (in seguito inserirò link)!
Fonte 19.I.2012

Categorie
PANE, pizze, pizzelle e dintorni

Pain de Mie

Sicuramente ci sono altre ricette analoghe, ma quella tratta da questo sito, l’ho trovata molto equilibrata negli ingredienti e dettagliata nelle indicazioni, e ve la vorrei proporre (fra l’altro ho realizzato successivamente che l’impasto è somigliantissimo ai miei panini al latte).

L’autrice ci assicura un pane versatile e soffice dal sapore neutro, adatto per toast o morbidi tramezzini. Basterà seguire qualche accorgimento…

Ingredienti usare stampi 20×10 (non li avevo, li ho usati più grandi)

Per il prefermento
(impastare e far fermentare per 12 ore circa a 20°C)
30 g licoli di gd al raddoppio
48 g latte intero fresco
92 g farina (anche tutta manitoba)
Totale prefermento 170 g (58,88% idratazione)

Per l’impasto
* 454 g farina forte (2/3 manitoba 0, 1/3 tipo 0 comune)
* 300 g acqua oligominerale – 66%
*  170 g prefermento – 37,44%
* 28 g zucchero semolato fine – 6,17%
* 28 g latte in polvere – 6,17%
28 g burro morbido – 6,17%
10 g sali – 2,20%
Totale impasto 1018 grammi (idratazione reale 64,70%)

Procedimento
Fare prima un’autolisi di mezz’ora con gli ingredienti asteriscati (la vera autolisi non prevede lievito), mescolandoli sommariamente col gancio a foglia, per 3-4 minuti a vel. 1 e lasciato coperto, in ciotola.

Passata la mezz’ora ho aggiunto il sale e fatto incordare con gancio normale a vel. 2, subito dopo ho aggiunto anche il burro in 2 o 3 volte. Il tutto per 5 minuti.
Ancora 5 minuti, stavolta a vel. 3.
Di tanto in tanto ho capovolto per ossigenare l’impasto.
Ancora 5 minuti, sempre velocità 3.
In tutto ho impastato per 15 minuti, fino alla prova velo.

L’autrice ci assicura che ha fatto anche a vel. 4 col suo KA e sembra che queste alte velocità aiutino a incordare bene, ma attenzione sempre alle slievitazioni.
Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Pain-de-mie-Tfl-5.jpg
Mettere l’impasto in frigo per la notte (circa 8 ore).
Riportare per un’oretta a temperatura ambiente.
Porzionando l’impasto, formare tanti quadrati sul banco, quante volete che siano le sezioni da adagiare in ogni stampo.

Dopo aver sgonfiato delicatamente tutte le bolle di fermentazioni, fare delle pieghe a “porte di saloon” a ciascun quadrato e avvolgere verso l’alto.

Alla fine di questi avvolgimenti formare una pallina e serrarla per bene sotto.

Per le varie operazioni (staglio, pesatura, piegature), ho impiegato circa mezz’ora.
Notare che i due filoncini sono stati volutamente messi a lievitare in versi “opposti”.
Ho imburrato i due stampi, in uno ho messo un rotolo unico, nell’altro ho messo, trasversali, 3 rotoli piccoli.

Ho coperto con cartaforno, infilato in busta di cellophane, coperto con pile e fatto lievitare nella stanza fredda di casa (senza termosifoni) per 6 ore circa.
Cottura – 45 minuti – 190°C statico
Dopo aver pennellato con un tuorlo ho infornato nella parte bassissima del forno preriscaldato e versato mezzo bicchiere d’acqua alla base del forno.
Essendo due ho cotto qualche minuto in più fino a un bel colore dorato, ma attenzione a non far asciugare troppo il “pain”.
Verso la fine ho ripennellato con albume, ma ho coperto con cartaforno perché si stavano colorendo troppo.
Per dare la classica forma squadrata da toast, si potrebbe provare a cuocere capovolgendo lo stampo!!!
Nel filoncino singolo l’alveolatura è più accentuata, ma per toast o tramezzini, l’alveolatura consigliata è fine, quindi l’autrice della ricetta preferisce  quello più compatto a tre sezioni.

Questa la foto del filoncino a 3 sezioni.

E questo il filoncino a corpo unico (più alveolato).

Qualche impressione:
– è un pane dal sapore neutro leggermente saporito per i miei gusti, ma diminuire troppo il sale significherebbe rivedere i tempi di lievitazione!
– l’interno risulta perfettamente asciutto;
– è un pane da avere sempre come scorta per merende e cenette veloci, o tramezzini gustosi;
– mi aspettavo una sofficità maggiore. L’autrice volendo, suggerisce di aumentare i grassi fino al 20% – qui siamo al 6 – e anche con olio al posto del burro. Aggiungo io che varrebbe la pena fare una prova anche con la tecnica del tang zhong.

Fonte 23.I.2012

Categorie
COSMETICANDO, casa e persona VARIE - Quel che resta, e non è poco

Aloe arborescens – efficace doposole e non solo

Incuriosita dalle decantate virtù di questa pianta, tempo fa mi sono convinta a comprare un’ Aloe Arborescens Miller di circa 5 anni, per averla sul balcone.

Per guarigioni miracolose non so, ma da mia testimonianza diretta vi assicuro che per un’estate intera, prendendo qualche foglia qua e là (l’isola greca dove soggiornavo ne era piena), e spalmandomi sul corpo dopo la doccia l’interno gelatinoso di una foglia spellata, mi sono salvata non solo dalle ustioni, ma addirittura non ho avuto neanche la classica spellatura alle spalle di fine stagione!
Ne ho fatto anche un gel cosmetico (sembra che anche in questo caso l’aloe arborescens abbia molte più proprietà rispetto all’aloe vera)  ma è da tenere in considerazione che, a prescindere dai conservanti che ho utilizzato, analogamente a qualsiasi altro infuso da pianta fresca anche l’aloe è soggetta a ossidazione, quindi problematica da utilizzare in tal senso.
Se può essere utile, ho comprato qui la pianta, ma ci sono altri posti certificati in Italia dove viene coltivata biologicamente.
Per chi fosse interessato poi, c’è questa ricetta dello sciroppo di P. Zago.
Io l’ho preparato per un periodo, diciamo senza nessuna pretesa di guarigioni mirabolanti per qualche malattia particolare (oddio, se mi ringiovaniva di una 30ina d’anni  sarei stata contenta, eh?!) ma solo perché appunto, sono curiosa di fare nuove esperienze.
INGREDIENTI
350∼500g miele d’api biologico (meglio se di castagno o comunque non millefiori)- minimo 46,66%
40-50ml di distillato (circa 6 cucchiai monocultivar di grappa, cognac, whisky, ecc.) – minimo 5,33%
350g Foglie di Aloe Arborescens bio: 3-5 foglie o più, fino a raggiungere il peso – minimo 46,66%
PREPARAZIONE
Raccogliere le foglie necessarie di sera, nell’oscurità, avendo avuto cura di innaffiare la pianta qualche giorno prima, e non a ridosso della raccolta.
Lavorare tutto in penombra (ad esempio con la sola luce della tv, onde evitare di avviare velocemente l’ossidazione delle foglie tagliate).
Togliere le spine dai bordi delle foglie e la polvere depositatasi, utilizzando uno straccio strizzatissimo-appena umido o una spugna.
Tagliare a pezzi le foglie (senza togliere la buccia) e metterle nel frullatore assieme al miele e al distillato prescelto.
Frullare bene e il preparato è pronto per il consumo (l’ho fatto nel bimby).
Non filtrare, né cuocere.
Il frullato ottenuto deve essere messo in frigorifero in un barattolo scuro, ben chiuso (ho schermato il barattolo di vetro con un foglio di alluminio).

Rifatta di recente 1/4 della dose consigliata (preferisco rifarlo spesso!)

DOSI E MODALITA’ CONSIGLIATE SECONDO PADRE ROMANO ZAGO
Agitare bene prima dell’uso.
Avendo cura di aprire il barattolo in zona buia, prendere un cucchiaio da tavola 20 o 30 minuti prima dei tre pasti principali (colazione, pranzo e cena).
Una volta iniziato il trattamento è importante assumere tutto il contenuto del barattolo.
Appena finito, è consigliabile sottoporsi a una visita medica per verificare eventuali miglioramenti.
Il risultato delle analisi offrirà indicazioni sugli effetti ottenuti e suggerirà la procedura da seguire.
Se i risultati dovessero dimostrare che non ci sono stati miglioramenti con il primo barattolo, è necessario ripetere l’operazione dopo una pausa di 5-10 giorni. Tale ciclo dovrà ripetersi tante volte quante sono necessarie per eliminare il male.
Soltanto dopo i primi quattro tentativi senza esito positivo si deve ricorrere ad una dose doppia, cioè due cucchiai prima di ogni pasto.
– Dal canto mio posso dirvi che per fare lo sciroppo ho letto che il miele migliore (biologico), sia quello di montagna di castagno… e comunque mai il millefiori.
– La grappa (meglio se biologica) da usare è meglio quella proveniente da un solo tipo di uva…
– La raccolta e lavorazione va fatta quanto più possibile al buio o quasi, e si deve anche bere al buio!
– Le foglie vanno raccolte quando non si innaffia da almeno qualche giorno, altrimenti si “annacquano” anche le proprietà (accidenti quante ne vuole ‘sta pianta eh?!!!)
Per altre notizie si rimanda – oltre che alle informazioni della rete – soprattutto ai consigli dei propri medici prima di intraprendere qualsiasi iniziativa.

*******

Per chi, sensibile ai problemi ambientali, non vuole/può autoprodurre, ma vuol continuare ad acquistare cosmetici o prodotti vari per la casa e la persona, un piccolo consiglio è quello di consultare il famigerato INCI (International Nomenclature of Cosmetic Ingredients).
Qui sotto due siti dei quali mi avvalgo per la consultazione:
– ewg.org/skindeep/
– biodizionario.it
Quindi, attenzione ai numeri e ai colori degli scores (equivalenti di un semaforo dal verde, al giallo, al rosso, dove naturalmente il verde è il migliore) e all’ordine di inserimento delle varie sostanze nel prodotto (più sostanze con inci verde troverete ai primi posti, meglio sarà; come per gli alimenti, gli ingredienti scritti per primi sono contenuti in dosi maggiori!).
Fonte 16.VII.2012

Categorie
VARIE - Quel che resta, e non è poco

Stevia? Perché no!

Girovagando online mi sono imbattuta in questa pianta dalle proprietà dolcificanti elevatissime.. illegale in Europa fino a poco tempo fa…

La diffusione capillare di questo prodotto non giova certo ai grossi produttori di zucchero di barbabietola o di canna, o alle case produttrici di dolcificanti di sintesi… questi si, quasi tutti veramente deleteri per la nostra salute!!!
La stevia invece, utilizzata da secoli è del tutto naturale (che poi anche il cianuro sia naturale ma leggermente … pericoloso.. se ne può sempre parlare)
Insieme ad un’amica cookina ho comprato delle cose online e ho approfittato per prendere qualche bustina di foglie secche …
…e intanto proverò a fare un estratto liquido da usare come dolcificante supernatural!!!!
… ma potremo sbizzarrirci ad usarlo come sostituto dello zucchero – quando possibile – nelle nostre ricette!!Con l’occasione, vorrei citare questo thread di _*Paola*_ (dove è previsto il dolcificante tic, perché non provare con questo estratto?!)Ieri sera sono già partita con un minimo, avendo poco alcool a 95° in casa, ma ho seguito questa traccia per le dosi…
Ingredienti:
– 1 litro di alcool a 95°
– 350 grammi di foglie fresche di stevia (o 100 gr di foglie secche o polvere)
– 350 gr d’acqua in caso di foglie fresche (o 500 gr per le foglie secche o polvere)

Preparazione:
L’estratto si prepara mettendo 350 gr di foglie fresche (o 100 grammi di foglie secche o polvere), in un litro di alcool a 95° e lasciando macerare il tutto per 15 giorni (12 giorni se foglie secche).
Successivamente si filtra la soluzione e la si diluisce aggiungendo 350 gr di acqua (o 500 gr se foglie secche o polvere).
A questo punto si fa evaporare l’alcool, riscaldando la soluzione a fuoco lento per evitare che possa infiammarsi.
Poi si procede concentrando la soluzione facendola bollire (quindi a fiamma vivace) fino a raggiungere la consistenza di uno sciroppo .
Ovviamente più l’estratto è concentrato, più è dolce.
E’ stato stimato che 200 grammi di sciroppo (ottenuto da 1 litro di alcool) abbia un potere dolcificante pari a circa 14 chili di zucchero (saccarosio)!
Immagino che una volta ottenuto lo sciroppo di stevia, lo doserò con un contagocce.. vado alla ricerca di qualcosa di adeguato e .. ci rivediamo fra qualche giorno, quando il mio estratto sarà pronto….

Fonti per saperne di più:
Fonti per saperne di più:
ecospugne.altervista.org/blog/archives/category/stevia-rebaudiana/
oppure qui
xmx.it/stevia.htm
Sito dove ho acquistato la stevia in foglie secche:
madavanilla.de/shop/catalog/browse?sessid=JVs42l8t5Rjz4LQ0EngyXJr9zOc4NuEeay97 bI4Em4P9RLcLFyVX23GtAUY4UGEj&shop_param=ecid%3D51% 26
Dove si possono trovare i semi:
ebay.it/itm/270644677185?ssPageName=STRK:MEWAX:IT&_trksid=p398 4.m1423.l2649#ht_500wt_1180
Dove si possono trovare anche le piantine:
ebay.it/sch/Giardino-e-Arredamento-Esterni-/2032/i.html?LH_BIN=1&LH_PrefLoc=2&_nkw=stevia&_catref=1 &_dmpt=Semi&_fln=1&_sc=1&_sop=15&_trksid=p3286.c0. m282
Qui trovate un altro studio che sta conducendo una cookina per l’applicazione alle ricette dolci (forse appoggiata a giallo-zafferano..):
blog.giallozafferano.it/zuccheroespezie/
Altro sito – stavolta italiano – dove acquistare compresse, polvere, estratto, foglie:
stevia-italia.com/prestashop/
ricordatevi, copiando gli indirizzi, di anteporre sempre il www.
 

Ecco qualche foto degli sviluppi:

dopo un paio di giorni di riposo con scuotimento giornaliero della bottiglia (foto cliccabili)

esattamente dopo 12 giorni sempre con mescolamento quotidiano (foto cliccabili)

dopo aver filtrato l’estratto, ho fatto ritirare in un pentolino, prima a fiamma bassa per far evaporare l’alcool, e poi più vivacemente, per ridurre a sciroppo (forse avrei dovuto ridurlo di più, ma mi ero stancata)

per trasferire nei flaconcini (che hanno un’imboccatura piccolissima), mi sono aiutata con un imbuto e un beccuccio di una sac-a-poche
ed ecco i miei flaconcini (non ho misurato la capacità, ma il più piccolo misura 8 cm e mezzo di altezza, il più grande, 14 cm)
NON SO SE PER IL FATTO CHE L’ESTRATTO NON SIA VENUTO TROPPO CONCENTRATO, MA DEVO DIRE CHE IL RISULTATO
– COME DOLCIFICANTE, ALMENO NEL CAFFE’
NON MI HA ENTUSIASMATO!!
UNA COSA, STRANISSIMA: QUESTO ESTRATTO DI STEVIA SEMBRA CHE LASCI AMAROGNOLI I LIQUIDI DOLCIFICATI – PUR SE SUCCESSIVAMENTE LASCIA UN GUSTO DOLCE AL PALATO.. UNA SORTA DI ILLUSIONE DI DOLCEZZA… O DI .. DOLCEZZA RITARDATA!!!
SE QUALCUNO VUOLE INTERVENIRE CON QUALCHE DRITTA, BENVENGA!!
Altro giro, altra corsa..
alla prossima proverò a dolcificare direttamente con le foglie secche tritate finemente
.. a presto per i risultati…

Intanto ecco dei muffin dietetici

***
Aggiornamento del gennaio 2013:Sto usando foglie di stevia polverizzate (nel bimby) e con mia sorpresa mi sto trovando moooolto bene …
Sarà che ho optato volutamente per questa scelta piuttosto che per l’aspartame, per seguire la mia dieta?
… sentiste una spolveratina di stevia in foglie polverizzata + una spolveratina di cannella su un semplice yogurt magro naturale
… lo trasforma!!!
Categorie
LIQUORI, bevande, sciroppi, ecc.

Estratto di vaniglia

Seguendo quanto reperito in rete, dopo aver messo sottovuoto parecchie bacche fra congelatore e frigo (ne avevo comprate parecchie con un’amica), le ultime 15-16 le ho volute destinare a preparare questo estratto!!


Gli ingredienti:

– Mezzo litro di vodka (visto che era a 38° e non i 40° richiesti, ho aggiunto un tappino di alcool a 95°) oppure 500 grammi metà alcool a 95° + metà acqua oligominerale.

– 60 grammi di baccelli – sono una 15ina di pezzi – per mezzo litro di vodka a 40°.

Poi occorre una bottiglia scura da ¾ di litro (meglio scura per la luce o schermata con fogli di alluminio).

Questi che leggete sotto in corsivo in verde, sono i 5 punti di Tuki.

Come realizzare l’estratto di vaniglia in 5 semplici passi:

1. Procurarsi una discreta quantità di bacche di vaniglia di buona qualità, io ho utilizzato la qualità Bourbon. Quali caratteristiche ci permettono di stabilire la qualità della vaniglia? Innanzitutto i baccelli devono essere “grassi” e non secchi, morbidi (non mollicci!) e belli lucidi, devono risultare flessibili (se il baccello si spezza non va bene per niente), devono trasudare olio ed avere una buona quantità di semi all’interno; last but not least, il profumo la dice tutta sulla qualità, ma per questo non posso aiutarvi molto; più baccelli passeranno sotto il vostro naso più imparerete a “sentire” quando la vaniglia è buona. Ah, servirà anche della buona Vodka, non importa quale, a noi interessa che contenga circa il 40% di alcool, in modo da avere la concentrazione ottimale per l’estrazione (a tale proposito si trovano studi piuttosto interessanti sull’argomento). In alternativa, facendo due calcoli, è possibile preparare una soluzione al 40% di alcol, andrà benissimo.

2. Pesare 60 g di baccelli (una quindicina, a seconda delle dimensioni) per ogni mezzo litro di vodka, queste sono le proporzioni per ottenere un estratto che possa essere definito tale.

Ho sezionato longitudinalmente e aperto (per esporre meglio i semini all’alcool) e tagliato a pezzi le bacche (meglio farle a pezzetti per far sì che siano bene immerse).

3. Aprire i baccelli a metà nel senso della lunghezza, in modo da avere i semi esposti, tagliarli a pezzetti piccoli ed introdurli in una bottiglia di vetro scuro capiente (se si intende usare mezzo litro di vodka prendere una bottiglia da 1 litro, in modo da poter agitare comodamente il tutto) assieme alla vodka. Il fatto di tagliare i baccelli a pezzetti non è tanto dovuto alla migliore estrazione, quanto alla praticità di non doversi sempre accertare che tutti i baccelli siano completamente immersi nella vodka.

4. Chiudere bene la bottiglia, dare una prima vigorosa “scecherata” e riporre in un luogo fresco e buio; ripetere quest’operazione di frequente, diciamo una volta al giorno per i primi 15 giorni e, successivamente, una volta alla settimana o quando ve ne ricordate.
5. Dopo 6 mesi l’estrazione dovrebbe essere completa, non resta che filtrare il tutto e cominciare ad utilizzarlo nelle varie preparazioni. In realtà l’estratto si può incominciare ad utilizzare dopo il terzo mese ma la differenza c’è, infatti, passati i tre mesi l’estratto continua a diventare via via più denso e scuro e l’odore di alcol tende a lasciare sempre più spazio alla vaniglia, fino a sparire completamente (bisognerebbe addirittura lasciarlo riposare altri 6 mesi per permettere all’aroma di perfezionarsi). L’aroma dell’estratto tende a migliorare con il tempo e non ha una scadenza. Come si usa?
Questo estratto è molto concentrato rispetto a quelli industriali, si utilizza soprattutto quando non avete tempo di aprire e raschiare i semi o perché magari, per qualche strano motivo, non volete che si vedano i “puntini”. Le quantità variano in base ai gusti e alle preparazioni, una volta fatta la mano ci si abitua. Se può esservi d’aiuto, io uso circa un cucchiaino da tè colmo di questo estratto là dove andrei ad utilizzare una bacca.
Fonte 05.II.2012

Categorie
PREPARAZIONI e tecniche di base

Pasta choux per bignè

Non sono partita da ricette dei Mostri Sacri della pasticceria, ho solo dato un’occhiata a qualche video su youtube. Poi però – per questa mia prima prova assoluta – ho deciso di seguire senza esitazioni l’aiuto di Tano, un amico cookino di Cookaround.

e parto da un passaggio intermedio alla ricetta che ho colto fra le righe, e che ho trovato fondamentale: la prova del “filo” … 🙂

.. ed ecco gli Ingredienti per la pasta chouxper una teglia abbondante – 225 grammi di bignè (se si fanno tutti piccolini, possono venire fino a 45-50 bignè. Io li ho fatti misti e, non volendo rischiare, ho fatto una prova ridotta rispetto a Tano):129 gr acqua107 gr farina 0064 gr burro (di frigo a pezzetti)3 uova (a temperatura ambiente)pizzichino di salela metà di un cucchiaino raso di zucchero (se per preparazioni dolci)

ho messo acqua, burro a pezzetti, sale e zucchero in un pentolino a fondo spesso, fino a ebollizione..Dopodichè ho versato tutto in un colpo la farina (sorry, no foto!! troppo delicato questo passaggio.. la metterò in seguito), e ho mescolato velocemente/vigorosamente con una paletta di legno, rialzando un po’ la fiamma…

.. fino ad arrivare a questa consistenza.. mescolando si formerà una sorta di palla.Non ho fatto stare i 4 minuti suggeriti da Tano per asciugare l’impasto, perché le dosi erano meno della metà, quindi dopo 2-3 minuti ho cominciato a sentire che il “suono” dell’impasto cambiava… “sfrigolava”.. e questo mi ha suggerito di smettere di stare sul fuoco…anche perché si era formata una leggera patina sul fondo del pentolino!

ho versato tutto in un’altro contenitore dove ho continuato a girare.. Ho aspettato che l’impasto si freddasse un po’…

.. a impasto appena tiepido ho aggiunto un uovo alla volta a temperatura ambiente, facendo assorbire prima di metterne un altro (oppure sbattere tutte insieme le uova e inserirle gradualmente, come ha fatto Tano).Mettere gradualmente l’ultima parte di uovo sbattuto, così se non servisse tutto evitiamo, per non avere un impasto finale troppo molle.

Quando l’impasto è così… bello lucido.. dovrebbe essere pronto.. basta assicurarsene facendo la prova “filo” che vedete a inizio ricetta, e cioè prendere un po’ di impasto fra due dita.. se è elastico e non si rompe, allora procedete, altrimenti continuate a mescolare per un po’…
versare quindi in una sac-a-poche l’impasto e.. con un beccuccio a bocca larga o a stella versare un piccolo quantitativo di impasto per volta sulla teglia, lavorando in obliquo per vedere la quantità depositata.Per i cosiddetti mignon, saranno sufficienti mucchietti da 2,5 cm di diametro.
…unica piccolissima variazione rispetto a Tano, ho cotto su teglia di ferro pochissimo unta di burro e ripulita con uno scottex dall’eccesso di grasso (lessi una volta che per gonfiare meglio, è addirittura meglio per i bignè “attaccarsi” un pochino alla teglia, e non poggiarli su basi antiaderenti quali teflon o cartaforno .. mah?!.. effettivamente a me è andata bene!)
Cottura:
Ho preriscaldato a 225°C, infornando ho abbassato a 220° per 10 minuti, poi altri 15 minuti a 180, e ancora 5 minuti a forno spento… mai aperto lo sportello…Mi sono venuti talmente leggeri.. quasi soffiati direi, che non credo proprio di trovare problemi di umidità dentro ai bignè, ma non ho voluto assolutamente fare prove strane tipo aprire gli ultimi minuti a fessura.. oppure bucare a fine cottura con uno stuzzicadenti per far fuoriuscire l’umidità, ecc.non saranno perfetti, ma non sono stupendi lo stesso??.. per me lo sono

… e non si sono sgonfiati più (quella era la mia paura), neanche tirandoli fuori dal fornoQuesta era più che altro una sfida con me stessa, visto che non li avevo mai fatti, ma me ne avevano parlato come di una delle bestie nere della pasticceria…e quindi per adesso sono nel mio congelatore, in attesa di essere riempiti di cremine ad hoc….. ed ecco la prosecuzione…. un parere sui bignè scongelati.. a proposito, ecco una foto dell’interno di un bignè che ho sacrificato per mostrarlo…

Allora, calcolate che io non sono assolutamente esperta ed è la prima volta che li facevo, quindi non ho metro di paragone.. ma mi sono sembrati perfetti, sia la parte che ho scongelato a temperatura ambiente, che quella che ho passato per un attimo in forno caldo…I secondi sono venuti leggermente più asciutti, ma visto che si riempiono di crema, credo siano perfetti in tutti e due i casi…
Ove ci fossero problemi di umidità o poca croccantezza si potrebbe provare la cottura con questo metodo (da Terry, con la ricetta di Montersino):
220° con teglia in alto (seconda tacca del forno) per 15 minuti, statico. Una volta trascorso il tempo, socchiudere lo sportello e lasciare dentro qualche ora, fino a completo raffreddamento.

Fonte 04.III.2012

Categorie
DOLCI

Frappe, chiacchiere, cenci …

I nomi di questi classici dolcetti di carnevale sono diversi a seconda della zona d’Italia in cui ci si trova.

Io le frappe di carnevale (a Roma si chiamano così), solitamente non le faccio perché non mi fanno impazzire;  quando le ho provate non mi hanno entusiasmato (né fritte né al forno), ma sono un must, e quindi quest’anno ho voluto riprovare e mi sono lanciata con la ricetta di …

Tano65

Il segreto per farle buone, anzi buonissime e con le bolle? Tirarle extrafine: estremamente consigliato tirarle con la “nonna papera” (macchina per fare la pasta”.
Se si ha tempo e voglia si può fare la dose intera linkata sopra, oppure sotto ci sono le dosi ricalcolate per 1 solo uovo:

Ingredienti per circa 300 gr di frappe:
167 g farina 0 debole (si può integrare col 20% di amido, mais o fecola di patate bio)
33 g zucchero aromatizzato alla vaniglia (***)
17 g burro morbido a pezzetti
1 cucchiaio e mezzo di grappa
1 uovo intero
buccia grattata di mezzo limone non trattato
un pizzico di sale
olio di semi di arachide per friggere
zucchero a velo per guarnire (***)
Col bimby ho prima reso a velo un po’ del mio zucchero aromatizzato alla bacca di vaniglia naturale (***) per poterlo spolverare poi sulle frappe.
Ho poi frullato la buccia del limone insieme con la farina (le dimostratrici bimby ci insegnano che la farina assorbe l’umidità del limone e si trita meglio).
Non avendo impastatrice, ho preferito fare la fontana di farina sulla tavola, dove ho inserito tutti gli ingredienti, lavorando bene.
Ho poi lasciato riposare il panetto mezz’ora nel cellophane.
Inizialmente non sono riuscita a tirare con la macchinetta della pasta: l’impasto era troppo morbido. Ho tirato col matterello ma, visto che erano evidentemente troppo spesse, la prima frittura non mi ha soddisfatto.Successivamente, visto che le striscette di impasto si erano asciugate, le ho spolverate con poca farina, le ho passate nel 5° spessore (su 6) della “Nonna Papera”, e le ho fritte: è andata!
Per la prossima volta le farò un pochino più larghe, ma lo spessore per la frittura era perfetto, bolle comprese!
Friggere pochi pezzi per pochi secondi, in olio ben caldo (170°C).
Guardarle a vista altrimenti coloriscono troppo e diventano pessime!

Le ho quindi scolate, asciugate su cartacasa, fatte freddare un po’ e spolverate con zucchero a velo.

Friabili anche al mattino dopo.
Queste sotto, le prime che ho fritto: carine, ma troppo spesse con la stesura col matterello.

Annotazioni:
Portare a ebollizione 1 bicchiere di acqua e 1 di aceto. Il vapore provocato dovrebbe neutralizzare l’odore di fritto.

e un piccolo commentino-aiuto dell’amico cookino Tano:
“…. Il calcolo delle uova l’ho fatto per 500 gr di farina e la quantità di uovo con quella farina era 2,5 uova ma io ho arrotondato a 3, vanno bene anche 2, però se non hai l’impastatrice la devi passare più volte nella macchinetta per amalgamarla meglio. Io qualche volta ho tolto 1 albume ed è andata a meraviglia…..”


Fonte 22.II.2012

Categorie
DOLCI

Propati della zita – Dolce pugliese

In periodo pasquale è consuetudine – in terra di Puglia – preparare questo dolce.
Vi è anche un’altra tradizione, legata ai “propati”.. ma andiamo con ordine ..
Non sapevo dell’esistenza di questo mega-simil-tarallo… fin quando, pochi giorni fa, ho avuto l’opportunità di assaggiare questo dolcetto-souvenir che un simpatico collega ci ha riportato da uno dei suoi viaggi di lavoro (grazie Francesco).
Mmmmhhh.. cannella.. questa la caratteristica che prevale (quindi chi non la ama può lasciar perdere da subito la lettura della ricetta) e nel giro di qualche minuto già rimpiangevo il profumo/sapore di quel dolcetto semimorbido un pochino asciutto che – morso dopo morso – mi aveva conquistato……

 

Il collega era uscito e nessun altro sapeva dirmi il nome del tarallone (naturalmente già pregustavo il fatto di riprodurlo al più presto)… ma come si chiama ‘sto benedetto dolcetto???
Ricerchina in rete con le paroline magiche: prima l’una, poi l’altra, poi insieme e ….Puglia, dolce, ricetta, cannella… alla fine hanno dato i loro frutti…
Il blog della simpatica Clementina ci illustra come, in passato, non si potesse fare a meno di questo dolce di buon auspicio per ogni “zita” (fidanzata) durante il giorno delle sue nozze…….
Unica cosa: il quantitativo degli ingredienti è espresso in funzione delle centinaia di commensali, amici e parenti che orbitano intorno ai matrimoni (e fin lì non sarebbe un problema: si fanno le dovute conversioni), ma soprattutto non ci sono suggerimenti per la cottura… allora ho improvvisato due tipi di cotture diverse!!!

Si, perché nel giro di 4 giorni ho ripetuto due volte
Ed ecco il risultato…


Ingredienti per 3 propati da 400 grammi scarsi ciascuno, dopo cotti
700 g farina 00
300 g zucchero (io ho messo il mio, aromatizzato alla vaniglia)
buccia grattata di un piccolo limone
2 uova grandi
12 g lievito per dolci (due terzi di bustina)
due terzi di bustina di vaniglia (io non l’ho messa, perché avevo il mio zucchero aromatizzato alla vaniglia, altrimenti direi che si potrebbe usare mezza bacca naturale da far bollire insieme al vino)
40 g olio e.v.o.
100 g vino biano
uno spicchio di limone
1 cucchiaino di cannella
un pizzichino di sale
farina per spolverare la tavola se necessaria..

Fate bollire del buon vino bianco con un pezzetto di limone e metà dello zucchero.
Io ho usato il bimby impostando 3′, vel 1 antiorario, 100°C.
(alla fine ho tolto il limone)

Ho fatto freddare il vino nel boccale e intanto ho setacciato insieme la farina, il lievito e la cannella.
Qui la ricetta indica questa sequenza:
– montare bene le uova e lo zucchero
– fare la fontana di farina sulla spianatoia
– aggiungere le uova montate, il vino bollito e il resto degli ingredienti
Io invece – una volta freddato il vino – ho messo tutti gli ingredienti insieme nel bimby e ho impostato 3′, vel. spiga..

.. ho poi lavorato un pochino sulla tavola per avere un impasto liscio (che comunque somigliava vagamente ad una pasta frolla leggermente più elastica).
Ho suddiviso il quantitativo e formato 3 cordoncini di quasi 50 cm., spessi 4 cm, del peso di 420 gr e che comunque entrassero nella mia teglia 30×40.
Ho poi unto leggerissimamente la teglia e spolverato appena di farina (togliendo l’eccesso).
Volendo si può usare cartaforno (ma non mi piace troppo, ferma la cottura..)

.. e qui ci divertiamo.. come cuocere????
Per il mio primo tentativo ho preriscaldato a 200°C, infornato e abbassato contemporaneamente a 180°C statico per 50 minuti.
Poi ancora 5 minuti di riposo a forno spento.
Questi primi sono venuti della consistenza di un biscotto (tagliandoli si spezzavano se non si faceva attenzione)…
ma.. che dire?? Ottimi

.. questi invece, grazie alla cottura più “dolce”, sono rimasti più morbidi….
Ho preriscaldato a 180°C e, infornando, ho abbassato contemporaneamente a 160°C statico per 40 minuti.
Che dire??? Ottimi pure questi..
Ogni paese, o addirittura ogni forno o ogni massaia avrà la sua ricetta “di casa”, quindi adesso .. a voi..
Potete sbizzarrirvi, tanto sono buoni sia biscottati che più morbidi…
Fonte 28.II.2012

Categorie
PANE, pizze, pizzelle e dintorni

Treccia stracchino e cotto

Grazie agli in-put che ci diamo continuamente l’un l’altro, ecco un altro prodotto slurposo, questa volta realizzato da Maria e modificato in minima parte da me per tempistica e gusti familiari.

poolish
50 g lilì
100 g p-mix (70 g tipo 0 bio – 30 g manitba 0 bio)
100 g latte intero
far triplicare (ci sono volute circa 7-8 ore…)
milk roux
15 g fecola di patate
150 g latte
impasto
600 g p-mix (420 tipo 0 – 180 g manitoba 0 bio)
4 tuorli
150 g latte intero
1 cucchiaino di zucchero
22 g di sale (3%)
100 g burro morbido
20 g acqua (o q.b.)
farcia
485 g roux fatto con 440 latte di stracchino + 45 g fecola di patate (avevo dello stracchino autoprodotto che si era un po’ liquefatto, e allora – grazie al suggerimento di Maria – l’ho utilizzato così)
200 g prosciutto cotto (6 fette tagliate un pochino spesse)
poco pepe verde (messo dopo, su qualche fetta)

Procedimento:
– ho versato la farina nell’impastatrice con al centro il milk roux, i tuorli e il poolish e ho fatto andare a velocità 1
– ho unito il latte a poco a poco facendo prima assorbire e poi unendone altro
– ho aumentato la velocità a 3 e a poi 4 facendo incordare x bene (fermando ogni tanto la macchina per capovolgere l’impasto, per ossigenarlo)
– poi ho unito il sale sempre a velocità 4 e infine il burro morbido un pezzetto alla volta (l’impasto si presentava ora un po’ appiccicoso però ho notato che aumentando la velocità si staccava dalle pareti)
– ho unito 20 g di acqua a goccia a goccia
– mi sono fermata quando ho visto l’impasto bello liscio, gonfio e vellutato e ho ottenuto questo velo che mi ha soddisfatta

– ho fatto riposare l’impasto x mezz’ora a temperatura ambiente
– alle 21,15 circa ho messo in frigo per 20 ore circa
– alle 16,45 del giorno dopo l’ho ripreso e lasciato fuori mezz’ora a temperatura ambiente per formare la treccia
– ho diviso l’impasto in 3 e steso a forma di rettangolo
– farcito con fette di prosciutto cotto e sopra lo stracchino-roux messo con un cucchiaino e una spatolina..
– ho arrotolato prima il prosciutto sullo stracchino e poi il rotolo, infine ho formato la treccia
Ho messo la treccia in lievitazione per circa 4 ore, dalle 18 alle 22 ,00 (purtroppo era molto tardi per via dell’ufficio… la prossima volta, per mangiare la treccia per cena, anticipare di 2 o 3 ore).
Prima di infornare, una spennellata di albume – residuo dei tuorli della ricetta – e poco latte, frullati insieme

Alle 22,00 infornata x 45′ a 190°C
ed eccola ancora calda…..e profumata….con la goccia di stracchino da leccare


…questa volta con un po’ di pepe verde
Fonte 05.III.2012
Categorie
PANE, pizze, pizzelle e dintorni

Pane nero di Castelvetrano

Ecco la versione che mi ha soddisfatto, leggermente diversa rispetto a quanto suggerito in uno dei Cucinare Insieme seguiti in Cookaround.

Ci sono solo un paio di piccole aggiunte:
un po’ di malto pennellato per scurire la superficie, e 10 grammi di glutine per reggere la lievitazione totale di 20 ore e mezzo…
Ecco il procedimento
Sono partita alle ore 00,15 di lunedì 12 marzo con una dose ridotta così (con l’ultima parte del mix-pane-nero-Castelvetrano bio che ho acquistato):
– 60 g di lievito liquido di mix-pnc al 100% di idratazione utilizzato al raddoppio dopo un bel rinfresco (me ne sono lasciata una 40ina di grammi dal cucinare insieme) – <10%
– 640 g di mix-pnc bio
– 545 g acqua – <85% (l’idratazione, considerando l’acqua complessiva – 575 g circa fra acqua ricetta/acqua lilì – è stata calcolata sul totale della materia secca, quindi sui 680 g di farina ricetta/farina lilì/glutine)
– 10 g di glutine – quello per fare il seitan (visto che ho necessità di fare una lievitazione lunghissima ho voluto provare ad aggiungerlo) – <1,5%
– 10 g sale – <1,5%
– 6 g malto d’orzo in pasta – <1%
– 6 g olio e.v.o. – <1%
– altri 6-7 g circa di malto in pasta sciolto in poca acqua per scurire la pagnotta insieme con 10 grammi circa di semi di sesamo per la copertura
Totale circa Kg. 1,290
Ho impastato nel Ken, utilizzando un metodo che non avevo ancora usato, e cioè intervallando l’acqua, un po’ ogni 15-20 minuti, aggiungendo contemporaneamente sempre una spolverata di farina per farla assorbire meglio:
– prima ho fatto sciogliere il lievito con il malto e ho fatto riposare qualche minuto nella ciotola del ken
– intanto ho setacciato la farina con il glutine (sempre meglio per farla ossigenare)
– ho suddiviso in 3 parti la farina e solo in 1 parte ho messo il sale
– le 2 parti di farina non salata le ho subito messe nell’impastatrice, ho mandato prima al minimo, a secco per 4-5 minuti, poi ho aggiunto circa un terzo dell’acqua totale e ho impastato a vel. 1 ancora per qualche minuto
– ho fatto riposare per 15 minuti circa (una sorta di autolisi, anche se la vera e propria autolisi si intende di sola acqua e farina)
– ho quindi capovolto l’impasto, ho aggiunto un po’ della 3a parte di farina salata, un po’ d’acqua , ho fatto incordare un po’ e ho aggiunto anche l’olio a filo, sempre a vel. 1
– ho fatto riposare di nuovo per altri 15-20 minuti
– ho infine ripreso a impastare aggiungendo quasi tutta la farina, altra acqua piano piano e per ultimo una cucchiaiata di farina…sempre a vel. 1, ma alla fine un paio di botte pazze, brevissime, al massimo della velocità le ho date…
Ho subito trasferito in una ciotola di vetro unta, fatto delle pieghe con una spatola, dal bordo verso il centro, ho coperto con un piatto, messo in un cellophane, coperto con un pile e infilato in frigorifero alle 01,30…
Visto che era un impasto molto idratato, alle ore 9,00 e alle 16,00, ho fatto fare (al maritino, perché io ero al lavoro) delle pieghe in ciotola, per poter far arrivare l’impasto in buone condizioni fino a sera..
Alle ore 19,15 ho tirato fuori il cestino dal frigo e ho fatto riposare a temperatura ambiente per una mezz’oretta.
Ho quindi trasferito l’impasto sullo spiano oleato e ho fatto delle pieghe a 3 (o a libro, chiamatele come volete), e subito ho tornito un po’.

Alle ore 20,00 ho messo in cestino per circa 3 ore.
Alla fine ho capovolto su pala, pennellato la superficie di semi di sesamo misti a malto e un po’ d’acqua (mi sono aiutata a distribuire questo miscuglio anche con le mani, delicatissimamente… l’impasto era ormai molto molle…), e infine ho punto tutta la calotta con un bisturi tagliente

Alle ore 23,00 ho cotto su refrattaria con forno preriscaldato da 45′ prima a 300°C
Prima di infornare ho passato un paio di volte uno straccio umido sulla pietra
Infornando sono scesa contemporaneamente a 280°C per 10 minuti, ho versato un po’ d’acqua sul fondo del forno, e ho vaporizzato il pane.
Proseguita la cottura a 230° per 35-40 minuti (gli ultimi 5 minuti ho lasciato lo sportello a fessura)

Dopo la cottura la vastedda pesava Kg. 1,125
Ecco tutti gli ingredienti – naturalmente non tutti tipici siciliani, ma sicuramente scelti con cura – sulla scrivania in ufficio, in attesa dei colleghi che avevo invitato ad assaggiare…


 
.. dall’estrema sinistra: ricotta salata, pomodorini, olio extra vergine di oliva di frantoio, olive nere, basilico, alici sottosale e dietro…lei:
LA VASTEDDA


Credo di aver capito che il Pane Cunzato andrebbe consumato ancora tiepido, sezionando la mollica del pane e non affettandolo.. per stavolta somiglia molto alla nostra “panzanella”… ma miglioreremo….

Finalmente il sapore e il profumo mi hanno completamento soddisfatta
Fonte 04.III.2013