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CONTORNI e verdure di ogni genere

Funghi ripieni

Ho acquistato dei semplici funghi coltivati abbastanza grandi che, con un ripieno dei gambi dei funghi stessi e di qualche verdura, si sono rivelati un piatto gustoso, e da preparare abbastanza velocemente.

Ingredienti (dosi per 4 persone)
8 funghi coltivati grandi
2 o 3 spicchi di aglio
1 carota
1 ciuffo di prezzemolo
peperoncino
olio e.v.o.
sale
dado in polvere bio
vino bianco secco (forse è meglio, ma io lo avevo rosso)

Procedimento
(i veri cuochi inorridiranno ma, purtroppo per me, anche se velocemente, io i funghi li lavo sempre: i pezzetti di terra sotto i denti non li sopporto proprio)

  • pulire e lavare bene le verdure, lavare velocemente i funghi e staccare delicatamente ogni gambo dal cappello
  • tagliare a pezzi le verdure
  • mettere nel bicchiere del minipimer i gambi dei funghi, la carota, l’aglio, il peperoncino, un cucchiaio di dado, e centrifugare per qualche secondo
  • riempire con questo composto ogni cappello
  • fate scaldare l´olio nella padella, aggiungete un po´ di peperoncino, lo spicchio d´aglio schiacciato, ma nella sua camicia (piú facile da togliere a fine cottura) e adagiate i funghi ripieni
  • fate cuocere coperto mezz´ora/40 minuti a fuoco medio/basso, poi infilate la forchetta delicatamente per sentire la cottura, spruzzate il vino, fate evaporare, aggiustate di sale (poco, vi ricordo che c´è il dado), coprite e fate insaporire qualche altro minuto
  • servire i funghi ben caldi con il prezzemolo fresco tritato sopra (io non amo cuocerlo, il prezzemolo rilascia un po´ di tossicitá in cottura, e visto che ne faccio largo uso, preferisco evitare)


Secondo il suggerimento di un´amica cookina, da provare anche la cottura in forno, magari spruzzando un pochino di vino in piú verso metá cottura.
02.XI.2008

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DOLCI

Canditi più facili più buoni

Tre giorni al massimo e avrete i vostri ottimi canditi (o semi-canditi, ma ottimi ugualmente!).

Ed ecco un’altra ricettina, anzi, ricettona, regalatami tanti anni fa da una cara amica che usava prepararli anche in occasione di matrimoni, nel suo paese natìo.

Massimo rispetto per le ricette di canditura alla FRANCESE, all’ITALIANA, ma questa la chiamerò alla PAESANA!
Che bontà ragazzi … e i canditi non si appiccicano alle dita 😉

Oggi (03.01.2021) ho solamente apportato una piccoola modifica sulla bucherellatura delle bucce, che aggiungo sotto.

Si tratta di un metodo “veloce” senza bollitura che lascia i canditi croccanti e profumati, ottimi da aggiungere a dolci tradizionali come colomba pasquale o panettone se si vorranno tagliuzzare, ma anche per qualche stuzzichino dolce (come gli stick canditi al cioccolato).

Fidatevi, uno tira l’altro, e non vi faranno rimpiangere i canditi tradizionali a 70°Bx.

Ecco la ricetta (in particolare per le arance; per altri agrumi il procedimento è leggermente diverso) a seconda delle dosi che si vorranno seguire, sempre nelle stesse proporzioni.

INGREDIENTI
250 g bucce pesate già bagnate e strizzate
250 g zucchero semolato
125 g acqua

PROCEDIMENTO
Prendo delle arance biologiche non trattate e le lavo per bene;
se pur essendo biologiche non trovo la scritta “buccia edibile”, procedo a spazzolarle bene con bicarbonato (io faccio con l’aiuto di una comoda spazzolina da unghie destinata a uso alimentare).
La modifica importante apportata è quella di bucherellare tutta la buccia con degli spilli (questo farà sì che si cuociano meglio e che in cottura assorbano meglio lo zucchero).
Procedo a sciacquare le arance e inciderle in verticale nelle quattro canoniche sezioni; in questo modo sarà semplice togliere la buccia senza rovinarla.

Lascio tutto a bagno per almeno 2, meglio se 3 giorni (metto in frigorifero), in un vaso di vetro coperto, cambiando spesso l´acqua (almeno 3 – 4, anche 5 volte al giorno) per far perdere l´amaro.

Passato il periodo di deamarizzazione, scolo e strizzo molto energicamente le bucce senza rovinarle; le asciugo ulteriormente premendo la parte bianca della buccia su un canovaccio; taglio a listerelle sottili (tipo le patatine alla julienne ma molto piú piccole e sottili), e peso il tutto.

Peso tanto zucchero quanto è il peso delle bucce, in questo caso 250 g zucchero; in una padella antiaderente verso lo zucchero e mezzo bicchiere abbondante d’acqua (circa 125 g);

– faccio sobbollire mescolando con una paletta di legno fino a che lo sciroppo di zucchero non è ben liquefatto;

– appena lo zucchero sarà diventato trasparente verso le bucce tagliate sottilissime e continuo a mescolare; poi copro e lascio a fuoco medio-basso, mescolando di tanto in tanto fino a che non vedo che stanno diventanto traslucide;
infine scopro la padella fino a che lo zucchero è tutto rappreso e le bucce sono tutte “glassate” (una volta “sbiancato”, attenzione a togliere dal fuoco e non far riliquefare e caramellare lo zucchero o i canditi non saranno buonissimi);
– verso tutto dalla padella su un vassoio capiente (o direttamente sul tavolo di marmo se le bucce sono in gran quantità) per freddare/asciugare il tutto abbastanza velocemente.

Quando si trasferiranno i canditi nei barattoli per la conservazione, recuperare l’eventuale profumatissimo zucchero residuo per le future ricette di dolci.

Sono buonissimi da subito, ma il giorno dopo migliorano, asciugandosi meglio e diventando più croccanti.
Si conservano per qualche tempo (non so quanto, finiscono sempre abbastanza in fretta) in un barattolo di vetro in frigorifero, oppure li metto sottovuoto per preparazioni future o addirittura li congelo e li uso anche per due o tre anni.

19 ottobre 2008

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PANE, pizze, pizzelle e dintorni

Pane toscano in pentola bucata

Dalle varie letture delle mie prime incursioni in Cookaround ricordo che mi colpì la cottura di questo pane toscano facile-facile, cotto in una pentola di alluminio bucherellata.
Probabilmente è un pane indicato per chi, ancora alle prime armi, non adotta il capovolgimento dell’impasto prima della cottura.
Detto fatto, e vi assicuro che mi venne benissimo ugualmente.
Avevo in casa delle teglie ovali di alluminio (da utilizzare, con la dovuta sagomatura, anche per la preparazione delle colombe pasquali).
Qualcuno dei vantaggi di questo metodo:
– non c’è più bisogno di toccare l´impasto morbido in questa bella forma ovale (successivamente ho imparato a capovolgere il pane prima di infornare);
– i buchi fanno uscire il massimo dell’umiditá possibile, cuocendo meglio anche la base del pane;
– la teglia si riutilizza cambiando la cartaforno.
Ingredienti
250 g farina 0 bio rinforzata (ho utilizzato lo stesso mix dei rinfreschi della mia pasta madre, e cioè 1/3 di manitoba tipo 0 + 2/3 di tipo 0 con l’11% di proteine)
250 g pasta madre dopo tre rinfreschi
170 g acqua (ho voluto una idratazione maggiore rispetto al toscano delle sorelle Simili)
2,5 g malto diastasico in polvere (facoltativo)
0,30 g bicarbonato (una minipuntina di cucchiaino – facoltativo – per chi non sopporta il profumo antico, leggermente acidulo, della lievitazione naturale).
Procedimento

Ho fatto 3 rinfreschi ravvicinati (h. 13,30 – 17 – 20,30), portando man mano il quantitativo della mia pasta madre a quello voluto per l’impasto finale.


A mezzanotte, una volta arrivato al raddoppio del 3° rinfresco, ho aggiunto farina, acqua e impastato il toscano (a volte mi aiuto col bimby, 4 minuti “spiga”).
 

La teglia ovale bucherellata (sagomare dando una forma ancora più oblunga)
Ho foderato la teglia con cartaforno bagnata e strizzata, bucherellando anche questa.
Ho adagiato l´impasto nella teglia e ho infilato tutto in una bustina di cellophane.
Non volendo cuocere dopo poche ore, ho trasferito il tutto in frigorifero.
Verso le 16,30 – dopo circa 14 ore di maturazione – ho tirato fuori l´impasto dal frigorifero.
Ho lasciato lievitare per un paio d’ore a temperatura ambiente, sempre coperto da pellicola.
Qui all´uscita dal frigorifero
Dopo circa 2 ore ho infornato.
Ho portato il forno a 240°C, funzione statica, con una griglia di ghisa pesante all’interno a scaldarsi per 15-20 minuti (una refrattaria sarebbe perfetta per il pane, ma ci vuole moltissimo tempo per scaldarsi bene).
Ho infornato, poggiando l’impasto con tutta la teglia bucherellata sulla piastra di ghisa bollente,  così:
– 220°C (la massima temperatura consigliata per la cottura con cartaforno) per 10 minuti, gettando all’ingresso qualche ghiaccetto in una teglietta posta alla base del forno, e vaporizzando pane e pareti del forno ogni minuto per i primi 5 minuti;
– 200°C per 20 minuti;
– 180°C per 20 minuti ancora, ma trasferendo il pane sulla griglia del forno cercando di togliere velocemente tutta la cartaforno (la mia pagnotta era di quasi 1 kg – se si fa più piccola rivedere i tempi di cottura).
Il toscano è solitamente chiaro; a me piace bencotto.
La base del pane.
Ecco l’interno. Ho aspettato che si freddasse per bene per tagliare.
Bellissimo il mio “scarrafone”, e buonissimo (con la mia pm dei primi tempi, sempre più matura!)
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ANTI-ARTROSI MINESTRE, zuppe e vellutate SALSE, sughi, condimenti, erbe

Ribollita toscana

Uno dei simboli della Toscana a tavola!!
La marea di ingredienti che compone questo piatto ha come “verdura principe” il cavolo nero (detto anche cavolaccio), il migliore dei quali è quello delle prime gelate dell’inverno, ma visto che il freddo non ha ancora deciso di lasciare la Penisola, ho deciso di aggiungere oggi la mia versione, ispirandomi ad una delle ricette trovate in rete.
Cavolo nero

Quindi ecco il passo-passo di come ho preparato questa ottima zuppa invernale per una decina di persone (meglio farne in più, visto che le contadine che la preparavano per la famiglia, la mangiavano e rimangiavano, e la ribollivano…).

Ingredienti

850 g cavolo nero (obbligatorio!!)
650 g cavolo verza liscio
350 g bieta
200 g patate***
250 g fagioli cannellini secchi (in ammollo dal giorno prima)
400 g polpa di pomodoro (1 barattolo)***
100 g pancetta o guanciale***
1 piattone misto di carota/sedano/cipolla
1 spicchio aglio
1 cucchiaio dado granulare bio
1 mazzetto di prezzemolo fresco
1 mazzetto di timo fresco o pepolino, come lo chiamano tradizionalmente in Toscana (direi quasi obbligatorio!)
Poco peperoncino
Sale****
Pepe verde
Olio e.v.o. per la cottura, e a filo, sul piatto finito
… e l’immancabile PANE RAFFERMO (possibilmente “sciocco”) a completamento del piatto finito*****


Procedimento
Il giorno prima ho messo in ammollo in acqua tiepida i cannellini con poco bicarbonato.
Il giorno dopo li ho lessati con qualche foglia di alloro salando alla fine, per non far indurire la buccia.
Quando i fagioli hanno raggiunto il grado di cottura, ne ho tolti un terzo, li ho passati nel passaverdure, e li ho riuniti agli altri, nella stessa pentola (se sono belli morbidi, a volte ometto questo passaggio).

Ho iniziato quindi col soffritto di guanciale, aglio, cipolla, sedano, carota e peperoncino.
Ho aggiunto le patate, il pomodoro e fatto legare un po’.
Ho aggiunto le erbe aromatiche (prezzemolo, e il timo, che è meglio legare per poter rimuovere i rametti legnosi a fine cottura)

Ho versato tutte le verdure tagliate e lavate in precedenza (ho prima battuto il cavolo nero sul tavolo e poi ho tolto le nervature più coriacee)

Ho allungato con l’acqua ancora calda dei fagioli e aggiunto un cucchiaio di dado (se serve altra acqua, aggiungerla sempre calda)

Ho fatto cuocere un paio d’ore, ho aggiunto la purea di fagioli e fatto “legare” ancora un’ora aggiustando di sale.

La cosa migliore sarebbe comporre la ribollita (io la farei prima freddare un po’) alternando strati di pane raffermo e zuppa, far insaporire tutta la notte, e ribollire il giorno dopo per qualche minuto, quando tutto il pane avrà “rubato” il sapore delle verdure. Occorrerà stare attenti a non mescolare troppo per non far disfare completamente il pane, facendo comunque attenzione a non farlo attaccare al fondo della pentola!
Confesso che qualche volta, a fine cottura, ho messo solo un paio di fette di pane raffermo in ciascun piatto e l’abbiamo mangiata così.
Solitamente non ce la facciamo a non mangiarne un piattino il primo giorno, ma il giorno successivo la ribollita migliora, soprattutto se la si fa – appunto – bollire nuovamente, come spiegato sopra.
Prima di gustare il piatto aggiungo un filo d’olio extra vergine d’oliva e una spolverata di pepe verde.

Nota che

***se si ometteranno questi ingredienti
****se si ridurrà al minimo o si sostituirà il sale con dado granulare poco salato
*****se si utilizzerà pane raffermo sciocco integrale, e non “bianco”

si potrà gustare questa ricetta anche nell’ambito dell’alimentazione suggerita da questo libro (sarà sempre ottima, anche se non sarà più una vera ribollita).

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COSMETICANDO, casa e persona

4 Drops Serum – Antietà Bifasico

Sono arrivata al mio siero bifasico, pensato per la mia pelle matura, dopo aver letto la sezione relativa alla formulazione dei sieri ne “L’angolo di Lola”, dove lei stessa lo decanta cosi’ in un post della stessa discussione:
“… il bifasico è uno spignatto molto particolare, a dire il vero anche se non l’ho più rifatto mi era piaciuto molto.
Se metti poco olio ottieni un prodotto un po’ troppo acquoso, secondo me una quota più importante lo completa bene. Tieni conto che comunque se ne mette poco, quindi un 25% di grassi in un bifasico corrisponde ad una crema con il 10% di grassi….”
Proprio in quanto bifasico, questo prodotto non ha necessità di alte dosi di emulsionanti (e noi non vogliamo emulsionarci inutilmente i grassi della pelle, giusto?!!), e può contenere, al contrario di quanto si riesce a fare nelle creme, una “marea di attivi”.
Quindi per ora è il mio siero viso di elezione.
Una minima quantità di emulsionanti serve unicamente per il tempo necessario affinché il prodotto, una volta agitato, e con le due fasi ben miscelate, possa essere prelevato e applicato correttamente.

Sotto, nella nuova versione del 15 febbraio 2018 scorso, sempre anti-age, sempre molto idratante e con un occhio alla delicatezza del prodotto.
Lo “scheletro” è rimasto lo stesso del primo che pubblicai, ma ho voluto ridurre ulteriormente gli emulsionanti aiutandomi con la lisolecitina come co-emulsionante.
Fra l’altro la lecitina (in questo caso lisolecitina) e’ un attivo che alla mia pelle matura piace molto.
A questo punto mi ritrovo con un “nuovo prodotto” che dovrà essere nuovamente testato.

Fase A
Acqua Lauretana a 100 (circa 44)
Biosolv – emulsionante idrofilo (max 0,50% – qui 0,25)
Estratto fiori di malva bio (5-50% – qui 5) (*) 
Sk-influx (mix di 3 tipi di ceramidi – 3-5% – qui 5)
Sodio ialuronato 5kda soluz. 1% (1-3% – qui 5)
Sodio lattato soluz. 60% (1-3% – qui 5)
Estratto Vite Rossa bio (*) (5-50% – qui 3)
Pentavitin (**) (5-6% almeno – qui 3)
Pantenolo sol 75% (provitamina B5 – 2-4% – qui 2)
Glicerina (1-10% – qui 2)
Lisolecitina non ogm (0,5-1% – fino al 10% altro – qui 1)
Allantoina (max 0,35 emulsioni – 0,50 prodotti acquosi – qui 0,35)
Elastine booster (0,30-0,50% – qui 0,30)
(quando possibile aggiungo Sodium PCA 1-2%)
Multivit shuttle (max 5% – qui 3)
Fase B
Ewocream – emulsionante lipofilo 0,25 (max 0,50%)
Olio Sacha Inchi 5 (1-5%) (*)
Coco silicone 2 – lipide similsiliconico non derivante da petrolio
Ethylhexyl stearate 2
O. Avocado bio 2 (*)
O. Ribes Nero 2
O. Rosa Mosqueta bio 2 (*)
Tocoferolo – Vit. E 1,5 (0,1-3%)
C. Jojoba 1 (*) 
O. Argan 1 (*)
Pantenolo soluz. al 75% 1(max 2%)
Squalane vegetale 1 (almeno 5%)
Zanthalene 1 (0,5-2%) (**)
Bisabololo 0,5 (max 0,50%)
Herbalox O 1 gtt (max 0,1%)
Mix di olii essenziali di lotus, rosa damascena, gelsomino 3 gtt (0.5-1%) (*)
Cosgard (conservante) 0,60% (**)
pH 5,5-6
(*) da agricoltura biologica
(**) approvato Ecocert
Prodotti acquistati prevalentemente online presso Aroma-Zone e Farmacia Vernile.
Procedimento semplicissimo, tutto a freddo:
Ho preparato prima la fase A (acquosa), frullando tutti gli ingredienti tranne il Multivit Shuttle.
Poi ho preparato la fase B (grassa) e ho frullato.
Ho unito le due fasi, frullato; infine ho aggiunto il Mutivit Shuttle e ho solo mescolato.
Ho aggiunto il conservante in base al peso ottenuto e mescolato ancora.
Non c’é stato bisogno di correzione di pH visto che era già intorno al 5,5 – 6.

Sotto, con la separazione evidente prima di agitarlo, dopo essere stato agitato, e sulla mano(na).

Recensione d’uso
Ed eccomi dopo 10 giorni con la recensione del siero (tanto deve passare per il test d’uso del prodotto).
Anche questa versione di siero è apparentemente molto liquida, ma deve essere cosí.
Lascia la mia pelle setosa, idratata e nutrita (grazie all’alta percentuale di attivi delle due fasi acquosa e oleosa).
In inverno, dopo la sua applicazione, si potrebbe aggiungere un po’ di crema (io in genere non uso niente dopo).
Soprattutto in estate, quando si suda, l’applicazione di questo siero, per la mia pelle, è più che sufficiente.
E’ molto concentrato e quindi ne verso qualche goccia sulle mani umide per distribuirlo al meglio su viso e décolleté puliti con la mia acqua struccante simil-micellare, sia mattino che sera (solitamente di sera, dopo lo struccante, spruzzo sul viso  il mio tonico alla vitamina C e lo faccio asciugare per qualche minuto prima dell’applicazione del prodotto (siero o crema che sia).
Nota importante
A seconda dei prodotti che ho in casa, mi trovo di volta in volta a sostituirne qualcuno con altro analogo, altrettanto valido e compatibile col resto della preparazione.
Naturalmente ogni volta testo su di me il prodotto per una decina di giorni per notare eventuali intolleranze o allergie prima di darlo a sorelle e amiche.
Fermo restando che intolleranze e/o allergie possono insorgere in qualsiasi momento della nostra vita, per ciascun nuovo prodotto ad uso personale, consiglio di fare un piccolo test versandone un po’  nell’incavo del braccio (una goccia di siero in questo caso).
Ripetere dopo 24 ore.
Se dopo altre 24 ore non appaiono rossori in zona, dovrebbero essere escluse quasi totalmente allergie o intolleranze.

*******

Per chi, sensibile ai problemi ambientali, non vuole/può autoprodurre, ma vuol continuare ad acquistare cosmetici o prodotti vari per la casa e la persona, un piccolo consiglio è quello di consultare il famigerato INCI (International Nomenclature of Cosmetic Ingredients).
Qui sotto due siti dei quali mi avvalgo per la consultazione:
– ewg.org/skindeep/
– biodizionario.it
Quindi, attenzione ai numeri e ai colori degli scores (equivalenti di un semaforo dal verde, al giallo, al rosso, dove naturalmente il verde è il migliore) e all’ordine di inserimento delle varie sostanze nel prodotto (più sostanze con inci verde troverete ai primi posti, meglio sarà; come per gli alimenti, gli ingredienti scritti per primi sono contenuti in dosi maggiori!).

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DOLCI

Brutti ma buoni fini fini – 1111

Ho dato questo nome alla ricetta che mi ha insegnato un’amica abruzzese nel 2009 in quanto mi ricorda gli ingredienti dei veri brutti ma buoni.
Successivamente li ho trovati in rete anche col nome di lingue di suocera.

Oltre al procedimento c’è però una differenza sostanziale fra le due tipologie di biscotti.
I “brutti ma buoni” hanno una doppia cottura (sia in padella che nel forno) e utilizzano unicamente albume.
Gli 1111″ vengono infornati una sola volta e c’è l’uovo intero. Nessuno comunque vieta di provare questi biscotti senza i tuorli.
In questo caso direi che il quantitativo delle uova intere si potrà trasformare in pari quantità di albume (vedi in fondo alla pagina la successiva prova con solo albume in brik).


Per rendere facile ricordare la composizione della ricetta, ho aggiunto una serie di numeri 1 al titolo, in quanto è possibile inserire una unità (o multipli) di ciascuno degli ingredienti principali.

Ingredienti (con questa dose doppia, la prima volta sono venuti una 70ina di biscotti. La mia amica – che riesce a farli fini come ostie – raddoppia il numero!):

2 uova intere grandi (circa 120 g, oppure equivalente peso in albume)
200 g frutta secca intera non spellata (la ricetta che mi hanno dato prevedeva mandorle, ma questa volta ho fatto un misto)
200 g zucchero (in famiglia qualcuno li trova troppo dolci, ma credo che la giusta quantità di zucchero aiuti a renderli croccanti)
200 g farina debole (o indebolita con un 20% di amido)
2 pizzichini di sale

Aromi facoltativi a piacere:
semini interni di 2 capsule di cardamomo (ottima alternativa alla pur ottima ma più costosa vaniglia naturale)
2 mandorle amare pestate

Procedimento

Ho mescolato per bene uova e zucchero, poi farina con sale, gli aromi pestati nel mortaio e infine la frutta secca intera.

Ogni dose è per un filoncino, quindi con questa doppia dose formo 2 filoncini.

Per riuscire a dare una forma abbastanza arrotondata al salamino (ma se li facciamo quadrati non ci sgrida nessuno), sarebbe meglio utilizzare uno stampo da baguette rivestito di cartaforno.

La mia amica però usa stendere delle strisce di impasto “libere” sulla cartaforno (probabilmente in questo modo il composto si asciuga meglio anche internamente, ma in questo caso occorrerà risistemarlo spesso durante la cottura, in quanto tende a spiattellarsi tutto).

In mancanza di stampi da baguette è possibile ingegnarsi con dei vassoietti piccolini o sagomandone qualcuno, sempre rivestendoli con cartaforno!

Cottura
Visto che questo composto deve asciugare bene, ho infornato per 80 minuti totali, cosí:
–  i primi 40′ a 180°C statico (ruotando gli stampi dopo 20′)
–  il secondo periodo di ulteriori 20′ ho abbassato la temperatura a 140°C ventilato
–  il terzo periodo di 20′ ho lasciato 140°C ventilato trasferendo i filoncini sulla griglia del forno.

Quando i filoni sono dorati spengo il forno.

Tiro fuori dal forno un filoncino per volta e – quando ancora molto caldo – lo taglio immediatamente a fettine finissime.

Sono difficili da affettare, ma mi assicurano che tagliarli da freddi è quasi impossibile, quindi mi armo di pazienza e procedo, stando attenta alle ustioni e ai tagli alle dita.

Piú si tagliano fini, e piú i biscottini resteranno croccanti e sfiziosi.

Man mano che procedo con il taglio, li allargo un po’ sulla cartaforno.

Successivamente li riposiziono tutti sulle griglie all’interno del forno spento, dove li lascio qualche ora, fino a completo raffreddamento.

********

PROVA DEL MARZO 2018 CON SOLO ALBUME ANZICHE’ UOVA INTERE

Successivamente li ho provati anche con un 25% in più rispetto alle dosi indicate sopra, utilizzando dell’albume in brik. Sono venuti ottimi!
Ho usato 3 stampini 23×10 e queste sono state le dosi:
155 g albume (equivalente di due uova e mezzo grandi)
250 g frutta mista (200 mandorle + 50 nocciole)
250 g zucchero semolato
250 g farina debole (200 tipo 0 + 50 fecola di patate)
2 pizzichi di sale
2 capsule di cardamomo (i semini interni pestati)
2 mandorle armelline amare pestate

8 gennaio 2009

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DOLCI

Brutti ma buoni

La particolarità di questi famosi biscotti è quella per cui il loro composto va prima cotto in padella e poi infornato.

Ingredienti (mi sono venuti 36 biscotti)
125 g albumi (di 3 o 4 uova piccole)
250 nocciole
250 zucchero fino (lo trovo migliore da montare se non voleste addirittura usare quello a velo)
il succo di mezzo limone spremuto per montare a neve
l’interno di 10 semi di cardamomo pestati (o equivalenti vaniglia naturale in polvere).

Procedimento
Ho ridotto grossolanamente in granella le nocciole, frullandone piú finemente una parte col mixer.

Dopo aver montato gli albumi con poche gocce di limone ho aggiunto zucchero, montato ancora un po´, ho aggiunto la granella di nocciole, e successivamente ho cotto tutto in pentola antiaderente.

Ecco come si presenta il composto prima e dopo 15 minuti di cottura a fuoco basso, mescolando di continuo (meglio se in una pentola antiaderente).

A questo punto ho aggiunto del cardamomo (tenere solo i semini scuri interni pestandoli bene: sono molto duri).

ho formato dei mucchietti su cartaforno, aiutandomi con un cucchiaino da caffé colmo.

Ho infornato a 150°C per 30-40 minuti (a seconda della grandezza), ruotando la teglia dopo 25-30′, con sportello del forno a fessura. 

Una volta spento, se la base si stacca agevolmente dalla cartaforno lasciarli raffreddare a temperatura ambiente, altrimenti asciugare ancora un po’ in forno.

Appena sfornati l’interno è un po’ morbido ma dopo si asciuga.
Per essere perfetti, dovrebbero presentarsi con delle crepe.

Si conservano parecchi giorni se chiusi in busta di cellophane.        

28 dicembre 2009

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DOLCI

Pizzelle? Abruzzo!

Al paesello della mia nonna materna (entroterra della provincia di Pescara) si usa ancora preparare queste pizzelle dolci come quando, da bambina, le gustavo in occasione di qualche festa.

In queste zone il nome di queste cialde è semplicemente “pizzelle” e – ci dice la storia – sono state portare anche altrove in Europa (waffle in Belgio, wafel in Germania, wafflen in Inghilterra, gofre in Spagna, gaufre in Francia, ecc.). La ricetta, passando di mano in mano e di paese in paese, è stata ovviamente adattata e modificata.
Anche in Abruzzo vengono chiamate in molti modi e lascio alla lettura dei tag in fondo alla ricetta parecchi dei nomi che si possono trovare.
Per fare contenta mia madre che vuole riassaggiarle, alle infinite versioni che si trovano in rete, ho preferito la ricetta del posto, semplice, fornita da un’amica (grazie Rita)!
Per prepararle, oltre alle piastre elettriche ad hoc in vendita oggigiorno, esistono ancora i vecchi ferri forgiati, che ho avuto in regalo da mia madre qualche anno fa.Si! Proprio i ferri “antichi”, quelli da utilizzare sul gas o, nella versione col manico più lungo, addirittura nel camino. Foto sopra, il ferro più grande, peso Kg. 1,300, distanza fra i due spigoli opposti 18 cm.; il ferro tondo piccolo, da camino, 900 grammi, 13 cm. di diametro.
Ecco le dosi in grammi che ho estrapolato rispetto a 1 uovo (in neretto i suggerimenti originali).
Naturalmente si potranno moltiplicare le dosi a seconda di quante uova di partenza utilizzeremo (io sono partita da 2 uova):
Per 1 uovo – il mio era grande, da 62 g … ci vogliono …
1 cucchiaio e ½ di zucchero (o zucchero di canna) – ho misurato per 3 volte un cucchiaio grande raso a coltello – 30 g
1 cucchiaio di olio (io extra vergine di oliva di frantoio) – 10 g
1 cucchiaino di succo di limone – 1,5-2,5 g (*)
semi di anice (facoltativi, mi ci piacciono) – macinati per i bambini 1,5 g, oppure 1 cucchiaino di liquore secco di anice per gli adulti – (non sono in foto) – 3 g
un pizzichino di sale – 0,5 g (**)
farina quanta ne prende l’impasto – Mi è sembrato che ci stesse bene tutto il quantitativo che mi ero preparata. L’ho usata debole – 60 g tipo 0 bio più 15 g fecola di patate (o maizena bio) – 75 g (*)
+ olio per pennellare il ferro (e.v.o. o arachide).
(*)  Il succo di limone (qui, circa il 2% rispetto alla farina) è una piccola componente acida, ricorrente in alcuni dolci.
Posso immaginare che anche per questo composto, come per la “scorcia” dei fantastici cannoli siciliani, o per la frolla (vogliono tutti farina debole), valga quanto si dice qui.
Per lo stesso motivo, si vogliono indebolire le farine con almeno il 10% di amido, o più, a seconda della farina utilizzata, per evitare l’aggregazione del glutine, cosa non desiderata in questo tipo di ricette.
(**) il pizzico di sale che mettiamo sempre nei nostri dolci serve per esaltare la dolcezza del prodotto. Leggi qui.
 
Procedimento
Prima considero quante uova voglio impastare (nel mio caso ho impastato due uova, quindi ho raddoppiato tutte le dosi indicate sopra), frullando aggiungo lo zucchero, l’olio, il succo di limone, il liquore o i semi di anice se previsti, il pizzico di sale.
Infine, sempre frullando, aggiungo la farina poco per volta in modo di arrivare ad un composto non troppo lento (come da suggerimento); visto che la cosa è soggettiva, ho pensato che la densità raggiunta andasse bene!
Non avendo avuto altre indicazioni, ho fatto riposare l’impasto per il solo tempo necessario al riscaldamento del mio “ferro”.
Ho messo il ferro sul fornello a gas, a fuoco medio-basso, per 10-15 minuti.
Poco prima di cuocere, ho abbassato il fuoco, ho pennellato con un leggerissimo velo d’olio (con un vecchio pennello di setole naturali) e ho ripetuto di tanto in tanto la leggera pennellatura d’olio (mia madre mi ha suggerito di non limitarmi ad ungere soltanto per la prima pizzella).
Ho quindi versato un cucchiaione di impasto al centro del ferro e ho chiuso, pressando con forza per tutto il tempo di cottura.Il ferro all’inizio era ben caldo, ho dovuto contare soltanto una 30ina di secondi per lato (ma controllare i propri tempi); ricordo che le pizzelle che mangiavo erano appena dorate, non scure come qualcuna delle mie. Dalla seconda cottura (il ferro era meno caldo per la cialda precedente che aveva assorbito il calore) ho contato 45-60 secondi per lato.
Per averle croccanti non devono essere chiare (come piacciono a mia madre), ma ben dorate, senza arrivare a scurire (altrimenti diventano amare e cattive).
Una volta fredde ho tagliato lungo le sezioni e le ho messe ad asciugare su una gratella.
Con circa 360 grammi di impasto (ricordo che ho fatto doppia dose), ho ricavato 19 pizzelle romboidali.
Ricordo a chi ha timore di usare olio e.v.o. nell’impasto, che è più genuino e non si sente assolutamente (sarà per il succo di limone e l’anice aggiunti).
La consistenza delle cialde è come quella che ricordo: si addentano bene e, se sono dorate al punto giusto,  il giorno dopo migliorano e diventano croccanti.
In una scatola di latta sembra che si conservino per una decina di giorni.
D’altronde le spose in passato, le preparavano nei giorni che precedevano il matrimonio.
Sono così semplici e versatili che possono essere mangiate da sole o – come nei miei ricordi di bambina – riempite con fantastici appiccicosissimi composti di marmellate d’uva o di fichi (in questo caso si hanno le “coperchiole” – da “coperchio”- perché una cialda copriva l’altra).

Lascio a voi la ricerca del modo migliore di gustarle.

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PANE, pizze, pizzelle e dintorni

Tarallini friabilissimi sia con pasta madre che con lievito liquido

Questa la ricetta originale che ho preso da Luca, capo indiscusso di Cookaround, che ringrazio; e queste le mie varianti aggiornate sia con pasta madre che con lievito liquido, con le quali spero di averli resi piú friabili, oltre ad averli alleggeriti come percentuale di sale e di olio (vista la maggiore dose di lievito).


Ingredienti
300 g farina rinforzata (30% manitoba 0 + 70% tipo 0)
95 g olio e.v.o.
90 vino bianco secco
160 g pm matura dopo 3 rinfreschi
12 g sale

Procedimento


Impasto inizialmente tutti gli ingredienti.

Dopo la lievitazione di 2 h (i puntini bianchi penso siano dovuti al vino bianco secco, frizzantino) ho diviso l’impasto in due filoncini e ho lasciato riposare ancora 1 ora.

L´impasto suddiviso in due, un po’ accartocciato, prima della lievitazione di 1 h.
  
Dopo 1 ora, staccare un pezzetto di impasto dalla parte stretta del filoncino (mi sono aiutata con una spatola) e formare i tarallini. Io li faccio piccoli (max 2,5-3 cm x 1 di spessore), ma le dimensioni sono a piacere. Naturalmente varieranno i tempi di cottura se li farete piú grandi.

Tuffarli in acqua bollente non salata e toglierli appena affiorano.
Dopo la bollitura si possono lasciar asciugare per un´oretta almeno, su un panno di lino o canovaccio o cartaforno, girandoli dopo un po’.
C´è chi li fa stare tutta la notte, ma io non ho trovato grandi differenze di risultato.

Cottura – avendo fatto doppia dose ho cotto in due riprese e ho voluto provare col ventilato (i taralli mi avevano preso lo spazio equivalente a 4 teglie – li ho fatti piccoli, erano moltissimi… forse 150-160 con la doppia dose) – ho fatto scivolare la cartaforno con i taralli direttamente su due griglie del forno.

– ho infornato le due griglie a 200°C per 5 minuti, poi ho abbassato a 160°C per 30-40 minuti, tutto con funzione ventilato – a metá cottura li ho capovolti, ho cambiato di posto alle griglie, anche ruotandole. Ho trovato che una cottura piú dolce aiuta a renderli piú friabili.
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VERSIONE CON LIEVITO LIQUIDO

Ho voluto provare con queste dosi, visto che avevo circa 33 gr di lievito liquido che mi avanzava dal rinfresco del giorno prima.
Ingredienti per l’impasto
350 g farina di forza (30% manitoba 0 bio – 70% tipo 00 bio)
95 g olio e.v.o.
90 g vino bianco
12 g sale
10 g semi anice (facoltativi)
Ingredienti per il poolish:
33 g lievito liquido
33 g farina di forza
33 g acqua oligominerale
Procedimento
Verso le 18 ho avviato il poolish con le dosi descritte.
Intorno alle 23, quando ho visto che il poolish era raddoppiato, ho impastato col resto degli ingredienti (tranne i semi di anice, che ho aggiunto il mattino seguente).
h 23,15 – Ho messo l’impasto in frigorifero fino al giorno seguente (non mi andava di aspettare ulteriormente i vari riposi dell’impasto).
Alle ore 11 del giorno dopo, ho ripreso l’impasto dal frigo e ho lasciato a temperatura ambiente.
h 14 filoncini
Verso le 14 ho impastato per dare un po’ di vigore all’impasto, ho aggiunto i 10 g di semi di anice, ho formato 2 filoncini e ho fatto riposare ancora 1 ora.
Alle ore 15 ho formato i tarallini. Ho tagliato ogni pezzetto aiutandomi con una spatola
Durante la formatura dei tarallini lascio comunque coperti i filoncini per non farli asciugare
Con queste dosi mi sono venuti 90 tarallini.
Li ho bolliti e ho lasciato asciugare su un telo per qualche ora (ma già un’ora di asciugatura va bene).
Intorno alle 21, li ho cotti mettendoli sulla carta forno e direttamente sulla griglia a 160°C (meglio una temperatura bassa) per 30 minuti circa con funzione ventilato, girando la griglia dopo circa 20 minuti (devono essere dorati, attenzione a non farli colorire troppo, si indurirebbero).

 09.V.2009

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SALSE, sughi, condimenti, erbe

Salsa alla zingara (la mia pasta fredda fumante)

È una ricetta dal sapore decisamente mediterraneo, che trovai descritta qualche anno fa sul retro della scatola di una famosa marca di pasta italiana.
Da allora la ripropongo in famiglia, in estate, e non solo.

    

Si tratta di una pasta da scolare e condire subito con una salsa a crudo, quindi è adatta anche in questo periodo in cui si trovano gli ultimi pomodori di stagione.
Inoltre le dolci temperature delle ottobrate romane, ci permettono di gustare ancora questa sorta di pasta fredda (fumante solo per via della pasta appena scolata e del peperoncino!).

Ingredienti per 4 persone

500 g di mezze maniche rigate
4- 5 bei pomodori da sugo, rossi e ben sodi (in inverno purtroppo quelli di serra!)
10-12 olive nere (di gaeta oppure baresane, io ho messo delle greche, avevo quelle)
origano secco
peperoncino
olio e.v.o.
sale
parmigiano reggiano

Procedimento

Nel mentre preparate la pentola per far bollire l’acqua per la pasta, in una terrina preparate questo condimento “freddo”:

  • Pelate i pomodori e tagliateli a piccoli cubetti, togliendo i semi
  • denocciolate le olive e tagliuzzatele un po’
  • fate a pezzi piccolissimi il peperoncino (se lo trovate fresco è ottimo)
  • spolverate il tutto con dell’origano
  • aggiungete qualche giro d´olio e.v.o. e del sale (senza esagerare: le olive ed il reggiano sono saporiti)
  • dare una mescolata, poi, volendo, scaldare un paio di minuti la terrina con tutti questi ingredienti sul calore dell’acqua bollente, dove stanno cuocendo le mezze maniche rigate (o qualsiasi altra pasta, ma vi consiglio questa)
  • scolate al dente e tuffate le mezze maniche fumanti nella terrina con il sugo crudo
  • mescolare, aggiungere del parmigiano reggiano grattugiato al momento, aggiungere ancor un giro di olio e.v.o. e servire

Buon appetito

23.IX.2008