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PREPARAZIONI e tecniche di base

Scorze di agrumi fresche tutto l'anno

Io solitamente, durante la stagione adatta, congelo la parte gialla delle bucce degli agrumi non trattati o le grattugio e le congelo in bicchierini monodose.

Questo pubblicato oggi è un modo diverso di avere una piccola riserva di profumo fresco di arancia, di limone, ma anche di kumkuat (mandarinetti cinesi) imprigionati in vasetti di vetro, e potremo dire “addio” a fialette di aromi artificiali e varie!

Ingredienti
– la scorza grattugiata di qualsiasi agrume a scelta (naturalmente non trattato!)
– zucchero semolato q.b. ad alternare gli strati di scorza grattugiata
 
Dopo aver lavato e asciugato accuratamente gli agrumi biologici, pazientemente grattugiarne la scorza.
Prendere un piccolo barattolo in vetro con chiusura a capsula e disporre sul fondo un primo strato di zucchero semolato, quindi uno strato di scorza tritata (all’incirca mezzo cm) e pressare bene.
Quindi proseguire alternando lo zucchero alla scorza, fino al riempimento di tutto il barattolo.

Terminare con uno strato un po’ più spesso di zucchero, chiudere accuratamente, e conservare in frigorifero.

Dopo qualche giorno gli olii essenziali contenuti nelle scorze impregneranno lo zucchero, che assumerà il colore delle scorze, oltre al profumo e al sapore, e potrà essere usato esattamente come la scorza appena grattugiata.

Anche questa preparazione durerà da un inverno a quello successivo, essendo lo zucchero un conservante naturale.

e non vi ritroverete più a cercare disperatamente un limone per aromatizzare una crema o una torta all’ultimo minuto.
Tutto verificato: arancia preparata 7 mesi prima, ed è ancora ottima.

Ed ecco anche i limoni.
Per l’esattezza sono 50 grammi ricavati da 4 bei limoni grandi biologici + 200 g di zucchero per la conservazione.
Sarà bene scrivere in etichetta le dosi impiegate in modo di regolarsi, quando si procederà per le ricette future, per poter scalare lo zucchero.
Quale è stato il loro primo utilizzo? L’aroma per la frolla di questa Crostata di Visciole
Il secondo utilizzo? Le Pinze Triestine
Il terzo utilizzo? Mi sono inventata un liquore tipo grand marnier/cointreau che mi è servito per una ricetta salvaciofeche.

03.I.2011
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CONTORNI e verdure di ogni genere

Carciofi 15 giorni

La mia amica Teresa, che sa cucinare davvero, e non come me, mi ha suggerito questa ricettina velocissima nella preparazione, e anche questa volta la devo ringraziare per la dritta.
   
Avremo carciofi…
facili facili,
buoni buoni,
genuini genuini,
che si cuociono praticamente da soli e, cosa importantissima, lei assicura che si mantengono buonissimi e bianchissimi (senza ossidarsi), fino a 15 giorni in frigo (probabilmente per l’aceto che funge da conservante).

Io li ho fatti stasera (vabbe’, ieri sera), ma mi dite come faccio ad aspettare 15 giorni per vedere se effettivamente durano, e per postarvi ‘sta delizia?
Intanto vi suggerisco le dosi di oggi:

  

8 carciofi grandi normali (o romaneschi, anche se più teneri)
mezzo bicchiere di vino bianco secco
mezzo bicchiere di aceto bianco delicato (avevo quello di mele)***
1 bicchiere di acqua
2 spicchi di aglio
2-3 bei giri d’olio e.v.o.
prezzemolo
sale
***Chi volesse un sapore meno acre potrà diminuire la dose di aceto a favore di quella del vino, ma la mia amica Teresa asserisce che se si consumano dal giorno dopo, i sapori si uniformano e l’acre si sentirà di meno.
Inoltre mettendo meno aceto, credo che i carciofi si conservino meno dei 15 giorni indicati, quindi consiglio mio personale: mettete le dosi indicate, non vi pentirete!
Ho preso una bella padella grande (diam. 28) e ho versato due o tre bei giri d’olio.
Ho disposto gli 8 carciofi ben puliti e tagliati a metà, senza sovrapporli, affogandoli quasi, in mezzo bicchiere di vino bianco, mezzo bicchiere di aceto* e un bicchiere d’acqua.
Come dosatore ho usato un bicchiere da acqua di quelli grandi.
Ho aggiunto poi 2 spicchi d’aglio (togliendo l’anima interna), una manciata di prezzemolo e una macinatina di sale.

Ora non faremo altro che accendere il gas al minimo, coprire con coperchio e, riaffacciarci dopo 1 oretta e mezza o poco più senza mai girare (per sicurezza, questa volta ho messo il timer dopo un’ora, ma vi assicuro che osservando queste quantità, possono stare tranquillamente almeno 1 h e mezza).
Se si dovessero assorbire i liquidi e non fossero ancora cotti (pungere delicatamente con una forchetta), aggiungere poca acqua calda.
Dopo circa 1 h e 45′, una volta assorbito tutto il liquido e fatti asciugare scoperti per qualche momento a fuoco vivace, li ho spenti dopo averli girati delicatamente con una paletta.
Li abbiamo lasciati raffreddare e gustati così.
A differenza dei carciofi cucinati solitamente al tegame non ci hanno gonfiato per niente (io ne ho mangiati 4 pezzi, quindi 2 carciofi interi).
In parte li ho riposti in una vaschetta di vetro in frigorifero in attesa di vedere se si mantengono veramente.
P.S. – Eccoli, ancora belli chiari e ottimi – al 7° e 15° giorno.
La mia amica Teresa, con questo procedimento, prepara anche una sorta di “giardiniera” con le verdure un pochino più durette, tipo cavolfiori bianchi, carote, ecc., mentre sconsiglia, ma non ci ha mai provato, l’utilizzo di verdure morbide come zucchine, ecc.

14.III.2011

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COSMETICANDO, casa e persona

Autoabbronzante delicato viso-corpo

Il sole fa bene, ma preso a giuste dosi.


Anche la pelle chiarissima è molto bella, potendo scegliere però, fa piacere ritrovarsi un velo di abbronzatura sicura, anche appena usciti dalla stagione invernale.
E’ un autoabbronzante acquoso che più “easy” non si può, pescato dai soliti prodotti “promossi” de L’Angolo di Lola; e l’ho persino semplificato per renderlo più delicato e fruibile per il viso, oltre che naturalmente per il corpo.

 Campioncini tester per sorelle e amiche per il pranzo di Pasqua 😉

Preparazione a freddo.
Fase unica per 100 grammi di prodotto (totale prodotti a bollino verde: 95,80%)
Acqua depurata di farmacia (a 100), 83,4
Glicerina vegetale, 7
Eritrulosio titolo 79%, 5
DHA (Diidrossiacetone), 4
Cosgard, 0.60 **
Acido citrico soluzione 20% per pH 4, poche gocce (non portare a pH superiori!)
** conservante molto utilizzato nei prodotti cosmetici biologici e approvato Ecocert
(formato da water 61%, benzyl alcohol 33%, dehydroacetic acid 6%)
Grazie agli zuccheri riducenti contenuti in formula il prodotto non penetra, ma ha una reazione chimica superficiale e colora tutte le proteine con cui viene in contatto quando è ancora in fase acquosa (quindi attenzione anche alle fibre naturali dei vestiti come seta e lana).
Non ha nulla a che vedere con la vera abbronzatura (né interferisce con la melanina) ed è estremamente superficiale (se ne va in 5-7 giorni col turn-over cellulare).
Volutamente e per sicurezza per ora ho preferito non pensare alla realizzazione di una crema, non ho aggiunto fragranza e non l’ho colorato visto che, pure essendo il DHA una sostanza sicura, ha problemi di incompatibilità con diverse categorie di sostanze cosmetiche (emulsionanti, gelificanti e persino alcune molecole tipiche delle composizioni profumate).
Quindi ripeto: è soprattutto per questo che ho preferito un prodotto acquoso ad uno in crema, visto che le normali creme viso-corpo solitamente contengono emulsionanti, gelificanti e fragranze.
A distanza di giorni ho verificato che la preparazione non superasse il pH 4, perchè al di sopra il Dha non è stabile.

 

Note:
– per una maggiore durata dell’abbronzatura – soprattutto se si utilizzerà per il corpo – è consigliabile uno scrub 24 antecedenti la prima applicazione;
– considerando che tutto dipende dal colore della propria pelle e dalla reattività di questa alle molecole autoabbronzanti, già dopo un’applicazione giornaliera per 2-3 sere consecutive o a sere alterne questo mix, stratificando, toglie alla pelle il grigiore invernale e dà un colorito più sano. Raggiunto il risultato desiderato si potrà sospendere l’applicazione giornaliera e potrà essere usato un paio di volte a settimana;
– anche se io lo conservo in un buon nebulizzatore, che con una erogazione uniforme fa asciugare il prodotto all’aria in una manciata di secondi, è consigliabile non nebulizzarlo sul viso (fare attenzione a occhi, narici, bocca).
Il consiglio quindi è quello di spruzzarlo ogni sera sulle mani (3 o 4 spruzzate) per poi distribuirlo sul viso  pulito (lavarsi le mani dopo l’applicazione).
Volendo, si potrà procedere ad applicare la propria crema/siero, una volta che l’acqua del prodotto sarà completamente evaporata e la pelle sarà asciutta;
– naturalmente, dopo la doccia, l’autoabbronzante potrà invece essere applicato liberamente con l’erogatore spray sulla pelle asciutta (sempre lontano da zone delicate e mucose);
– visto che andiamo verso la stagione calda, e nei nostri bagni potrebbe formarsi l’effetto sauna, e visto che oltre i 40°C il DHA si può degradare, preferisco conservare il prodotto in frigorifero!
– l’unico piccolo vero inconveniente che ho trovato visto che non c’è profumo, è l’odore caratteristico delle sostanze, che si sente per un po’, come in tutti gli autoabbronzanti del resto.

Lavarsi molto bene le mani subito dopo l’utilizzo …

… se non volete che succeda questo 🙂

 

*****

Per chi, sensibile ai problemi ambientali, non vuole/può autoprodurre, ma vuol continuare ad acquistare cosmetici o prodotti vari per la casa e la persona, un piccolo consiglio è quello di consultare il famigerato INCI (International Nomenclature of Cosmetic Ingredients).
Qui sotto due siti dei quali mi avvalgo per la consultazione:
– ewg.org/skindeep/
– biodizionario.it
Quindi, attenzione ai numeri e ai colori degli scores (equivalenti di un semaforo dal verde, al giallo, al rosso, dove naturalmente il verde è il migliore) e all’ordine di inserimento delle varie sostanze nel prodotto (più sostanze con inci verde troverete ai primi posti, meglio sarà; come per gli alimenti, gli ingredienti scritti per primi sono contenuti in dosi maggiori!).
 

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PANE, pizze, pizzelle e dintorni

Pizza di Pasqua al formaggio

Ed ecco qua la mia Pizzona di Pasqua (ben Kg. 1,820 di pizza, peso dopo cotta) secondo una ricetta di Nonno Claudio, presa sul forum di Cookaround (non più attivo).
Ho fatto una dose e ½ rispetto alle dosi suggerite perché avevo uno stampo grande (diam. 26×12), ma forse è meglio attenersi alla ricetta originaria se non si è esperti e si vuole un prodotto più “leggero” e alveolato.

Ecco le mie dosi:
300 g pasta madre solida rinfrescata con farina forte W300
750 g farina 0 bio W300 (di cui 250 per e il resto per l’impasto)
150 g latte intero (130 autolisi, 20 per l’emulsione)
75 g olio e.v.o.
13 g sale
330 g uova (6 uova) – (in una parte degli albumi – circa 130 g – ho sciolto la pms)
195 parmigiano reggiano grattugiato
150 g pecorino romano grattugiato
Unica variante, ho aggiunto l’autolisi con quasi tutto il latte e parte della farina (ho preferito, anche se ho notato che l’autore non lo ha fatto nel suo lievitato).
A questo punto, non avendo più latte, ho sciolto la pasta madre in parte degli albumi delle 6 uova utilizzate.
Per i più curiosi riporto i passaggi infiniti di Nonno Claudio, e le sue dosi originarie, inserendo qualcuna delle mie foto (è una ricetta quasi più lunga delle mie! 😉 ):

“I tempi di esecuzione, al netto della lunga lievitazione finale, sono di circa 8 – 9 ore, e questa segnalazione è importante per regolarci con l’inizio della preparazione al fine di evitare lunghe veglie notturne davanti al nostro forno.
Direi che l’inizio della nostra preparazione potrebbe essere collocato intorno alle 14 per giungere fino alle 23, quando lasceremo la nostra pizza a lievitare tutta la notte.
Per iniziare, alle 14 prendiamo dal frigorifero la nostra pasta madre e la lasciamo a temperatura ambiente per circa un’ora, come è richiesto tutte le volte che vogliamo rinfrescare.
Alle 15 la riprendiamo, togliamo la pellicola superficiale indurita e facciamo un rinfresco per darle la forza giusta, in modo da avere poi a disposizione 200 grammi di p. m. rinforzata.
Io, in contemporanea, procedo a fare un’autolisi con la farina e il latte indicati negli ingredienti, dando una sommaria impastata di circa un minuto, tanto da far inumidire per bene la farina (poi metto in frigo).
Faremo un solo rinfresco, poiché partiamo dalla condizione di essere in possesso di una pasta madre sufficientemente forte, e che comunque, come vedremo successivamente, faremo per il nostro impasto delle pieghe di rinforzo; ma se fossimo in dubbio sulla sua qualità, potremo tranquillamente fare un ulteriore rinfresco portandoli a due, anticipando i tempi iniziali.
In questo caso partiremo da un quantitativo minimo di p.m. ad esempio 40 grammi; con il primo rinfresco , sempre con la regola di una parte di p.m. , una di farina e metà di acqua , otterremo 100 grammi di pasta madre. Con il secondo rinfresco arriveremo invece a 250 grammi, da cui preleveremo i 200 utili per la nostra ricetta.
Il rinfresco normalmente dura dalle tre alle quattro ore, tempo in cui una buona p.m. deve per lo meno raddoppiare di volume. Siamo così arrivati circa alle ore 19.
Riprendiamo la nostra pasta madre rinfrescata e prendiamone 200 grammi che ridurremo a pezzetti
mettendola in una ciotola con una parte del latte (come scritto in precedenza, io l’ho sciolta in parte degli albumi), e precisamente 85 grammi di latte tiepido (non bollente).
Sciogliamola in esso, aiutandoci in questo con le mani, con una forchetta o qualsiasi altro utensile adatto allo scopo.
Personalmente metto p.m. e latte nella macchina del pane con il programma di solo impasto coprendo con carta di alluminio la vaschetta, in modo tale che gli schizzi dovuti al movimento delle palette non sporchino l’interno della macchina, e poi, una volta che la p. m. si sarà sciolta nel latte, aggiungo gradatamente gli altri ingredienti.

Nell’ordine inseriamo le uova amalgamate, l’olio emulsionato con i 15 grammi di latte rimanenti, la farina setacciata (è bene ricordare che in tutte le nostre ricette è comunque sempre bene unire all’impasto la farina dopo averla setacciata) e a metà impasto il sale.
Io inserirò nell’impasto anche la massa latte/farina lasciata in autolisi da almeno 1h prima.  
Lavoriamo l’impasto tenendo presente che manca ancora una componente solida importante, per cui probabilmente otterremo un impasto piuttosto morbido e probabilmente appiccicoso.
Solo a questo punto aggiungeremo il parmigiano e il pecorino, che sono i formaggi caratteristici di questa ricetta ed impasteremo facendo di nuovo amalgamare il tutto fino a quando il nostro impasto non diventerà liscio ed omogeneo.

Chi ha la macchina del pane può essere agevolato perché può impostare il programma di solo impasto e mettere tutti gli ingredienti senza i formaggi; poi, quando il programma è terminato, può farlo ripartire aggiungendo questi ultimi.
Lo stesso dicasi per chi è fornito di una macchina impastatrice.
Comunque io consiglio anche a chi lavora con la macchina del pane o l’impastatrice, al termine del ciclo di impasto, di lavorarlo un po’ anche con le mani, e alla fine dargli la forma desiderata prima di porlo a lievitare.
Se dovessimo avere un impasto troppo morbido e appiccicoso, magari a causa delle farine adoperate, non aggiungiamone altre quantità, ma insistiamo nel lavorarlo aiutandoci con una paletta che ci servirà per infilarla sotto l’impasto e rigirarlo con insistenza sulla spianatoia fino alla consistenza desiderata; basterà poco tempo.
Per quanto riguarda il dosaggio dei formaggi io ho messo le dosi che personalmente preferisco, con una leggera eccedenza del parmigiano rispetto al pecorino,
ma nulla toglie che, nel rispetto della quantità complessiva, ognuno possa variarne le proporzioni a seconda dei propri gusti, per dare più risalto all’uno o all’altro.
Quello che vorrei raccomandare, se ce ne fosse bisogno, è possibilmente di non risparmiare nella qualità dei formaggi, perchè vale sempre il principio che quello che mettiamo nell’impasto poi sicuramente lo ritroviamo nel risultato finale.
Con il nostro impasto formiamo una palla, la poniamo in una ciotola chiusa con pellicola, e la lasciamo riposare per un’ora in ambiente che secondo la solita frase abusata in questa circostanza, deve essere “ tiepido e lontano da correnti d’aria”.
Supponendo un tempo di lavorazione normale di circa un’oretta, (ma ci sarà sicuramente chi saprà fare prima), siamo giunti grosso modo alle 20.
Dopo un’ ora, quindi circa alle 21, riprendiamo il nostro impasto, e accingiamoci a fare per due volte una serie di pieghe di rinforzo, per potenziare il glutine contenuto nell’impasto e facilitare la lievitazione.
Per fare questo mettiamo l’impasto sulla spianatoia, spianiamolo con le mani senza usargli violenza, fino a farlo diventare un rettangolo, e poi facciamo due serie di pieghe a tre in questo modo:
pieghiamo un terzo dell’impasto dal lato più lungo verso il centro; successivamente prendiamo la parte che è rimasta libera e pieghiamola su quella precedente.
Avremo così un altro rettangolo.
Poi facciamo la stessa cosa questa volta con il lato più corto; a questo punto, sempre con delicatezza, arrotondiamo con le mani il nostro pacchetto di impasto con movimenti rotatori (N.C. intende una pirlatura) sulla spianatoia e lasciamo riposare come prima per un’altra ora.

Dopo un’ora, e cioè verso le 22, ripetiamo l’operazione delle pieghe di rinforzo e del riposo.
Alle 23 siamo finalmente pronti per posizionare l’impasto nello stampo.
Dopo aver ripreso l’impasto e averne perfezionato l’arrotondamento con le mani con movimenti circolari sempre nello stesso verso e averlo poi appiattito delicatamente , poniamolo a lievitare nel nostro stampo. Io uso uno stampo per panettoni da un chilogrammo ( residuato dei panettoni di natale e tenuto previdentemente da parte ), con le misure di 17 x 12 centimetri (o 26 x 12, come il mio se fate una porzione e mezza), intendendo diametro di base per altezza.
In questo caso è opportuno mettere al di sotto dello stampo una teglia, per facilitare eventuali spostamenti.
Altrimenti dovremo procurarci uno stampo che grosso modo rispecchi lo stesso volume, che imburreremo prima di inserirvi l’impasto.
La temperatura di lievitazione si dovrebbe aggirare intorno ai 28°, per cui dovremo scegliere un luogo adatto che si avvicini a questa condizione, spesso individuato nel forno eventualmente con lucetta accesa.
Quanto dovrà durare la lievitazione?
Di norma dalle 7 alle 9 ore, comunque per uno stampo simile a quello utilizzato da me, fino a quando la pizza non sarà arrivata al bordo.
Nella mia esperienza si è trattato quasi sempre di circa 9 ore.
Avendo iniziato la lievitazione intorno alle 23,30 alle 7 del mattino successivo ho anche provveduto a inserire nell’ ambiente in cui avevo messo la pizza a lievitare, un pentolino di acqua bollente per la spinta finale.
 
Poi inforneremo, per i più temerari dopo aver eventualmente spennellato la superficie con un uovo sbattuto, a forno caldo a 200° mettendo all’interno un contenitore con acqua per facilitare l’umidità,
per circa 50 minuti, facendo sempre e comunque la prova dello stecchino.
La posizione nel forno è centrale, facendo attenzione che durante la cottura la pizza potrà lievitare ulteriormente, e quindi attenzione a non metterla troppo vicino alla superficie superiore del forno.
Se durante la cottura ci accorgeremo che la superficie della pizza si sta scurendo eccessivamente, la copriremo con un foglio di carta argentata, eventualità che per altro a me non si è mai verificata.
A metà cottura, quindi dopo una mezzora per non compromettere la lievitazione, io ruoto di 180° lo stampo, perché il mio forno cuoce leggermente di più nella parte più interna .
A cottura ultimata toglieremo la pizza dallo stampo ( a meno che non abbiamo usato quello dei panettoni ) e lasciamo raffreddare su una griglia.
La pizza risulterà più buona se non mangiata immediatamente ma il giorno dopo ( se ce la fate a resistere) e la sua conservazione avverrà in un sacchetto di plastica per alimenti ricordando che comunque noi realizziamo sempre prodotti eccellenti ma senza conservanti, per cui il loro mantenimento è sempre abbastanza limitato nel tempo; io mi limiterei ad una settimana.
Se poi vogliamo fare la nostra pizza in anticipo rispetto alla Pasqua, possiamo tranquillamente riporla nel congelatore e consumarla a tempo debito”.
… e Buona Pasqua!
Ricetta del 23-02-2011
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SECONDI, SFIZI E STREET-FOOD

Involtini di Cavolo e Carne Tritata

Partiamo da loro …
🤔

Liscio (Cavolo Cappuccio)   o   Riccioluto (Cavolo Verza) ???

Ho fatto questi ottimi involtini indifferentemente “lisci” o “ricci” e, prima che finisca la stagionalità di questa sana verdura, non perdiamoci questa ricetta di Involtini di Cavolo e Carne Tritata.
Ingredienti per una dozzina di involtini:
300 gr di carne trita (ultimamente ho utilizzato 3 burger grass fed da 100 grammi l’uno)
12 foglie di cavolo verza
pangrattato
albume in brik
parmigiano e/o pecorino
latte
aglio e prezzemolo
no sale (alcuni degli ingredienti utilizzati hanno già sale a sufficienza)
vino bianco per sfumare
aglio, olio, peperoncino

Procedimento semplicissimo
Ho prima scottato per un minutino le foglie di cavolo in acqua bollente per farle intenerire con l’aggiunta di un po’ di succo di limone per evitare il caratteristico odore (ma possono essere utilizzate crude).
Ho quindi preparato il composto di trito da inserire negli involtini, così come di mio gusto (come per fare le polpette per intenderci; questa volta ho messo pangrattato, albume in brik, formaggi, poco latte per ammorbidire il composto, aglio e prezzemolo), tanto da avere all’incirca il doppio del composto rispetto alla carne (se ne dovesse restare, si può sempre cuocere un piccolo polpettone insieme agli involtini).
Ho quindi avvolto un po’ di carne all’interno di ciascuna foglia.
Ho deposto gli involtini nell’olio caldo dove ho messo prima a rosolare aglio e peperoncino.
Una volta rosolati da tutte le parti, ho sfumato con vino bianco secco.
Evaporata la parte alcolica ho coperto e lasciato cuocere per 30-40 minuti capovolgendo delicatamente gli involtini a metà cottura (una 20ina di minuti in più se si utilizzano foglie crude).
Soprattutto nel caso di foglie crude, prevedere eventualmente poca acqua calda da aggiungere in cottura.

Scottando inizialmente le foglie si può avvolgere più facilmente l’involtino con dentro la carne tritata,

.. sia che esso sia liscio (a forma allungata), che riccio (a fagottino) 😉

Se invece si preferisce cuocere il cavolo da crudo, ci si può aiutare con del filo o degli stecchini per agevolare la chiusura degli involtini.
Occorrerà soltanto battere un po’ la parte più coriacea della foglia per un migliore arrotolamento.

  

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DOLCI

Torta di mele e cannella

Ho già provato decine di versioni di torte di mele (ne trovate qualcuna qui, qui e qui) e, visto il successo che riscuotono sempre in famiglia, eccone un’altra.
Oggi mi sono ispirata a questa ricetta, ma con le mie solite modifiche, inserendo fra le altre cose degli ingredienti in sostituzione dei tuorli d’uovo; inoltre ho utilizzato meno zucchero, e a basso indice glicemico.Ingredienti per una teglia da 24 cm
2-3 mele golden medie*
200 gr farina indebolita* (160 di grano tenero tipo 1 e 40 amido di mais)
100 gr zucchero di cocco* (o semolato)
80 g albume in brik e 30 g lecitina non ogm (oppure 2 uova intere grandi)
80 g olio di semi di girasole deodorato*
60 g latte parzialmente scremato* (circa 5 cucchiai)
2 cucchiaini di cannella
buccia grattugiata di un limone*
12 g lievito per dolci homemade senza amido aggiunto
un pizzico a due dita di sale a velo
15 g zucchero cocco spolverato sulla superficie prima della cottura (1 cucchiaio)*
15 g zucchero semolato verso fine cottura
*da agricoltura biologica


Procedimento
Ho preso una piccola parte dalle farine totali, l’ho mescolata con il lievito homemade e ho messo da parte.
Ho versato nel bimby le restanti farine frullandole con la buccia di limone; ho versato in una ciotola capiente, ho aggiunto lo zucchero di cocco, ho mescolato e messo da parte.
Ho preparato un’emulsione frullando per bene la lecitina già lasciata ad ammorbidire da prima nell’olio della ricetta.
In un’altra ciotola più piccola ho inserito gli ingredienti a temperatura ambiente: latte, albumi, emulsione di olio e lecitina, cannella, sale e ho mescolato per pochi secondi ottenendo un composto cremoso.
Ho versato il composto cremoso nella ciotola capiente delle farine, ho mescolato fino ad ottenere un impasto vellutato e ho messo da parte (resta comunque un impasto denso).
Ho tagliato due delle mele col tagliamela e le ho versate in acqua acidulata col succo di mezzo limone (a piacere, pelarle oppure no, se sono senza pesticidi), aggiungendo eventualmente anche la terza mela, sbucciata, a piccoli cubetti.
Nel frattempo ho portato il forno a 190°C statico.
Ho aggiunto a pioggia nell’impasto il lievito messo via in precedenza con parte della farina, ho mescolato per uniformare, ho aggiunto i cubetti di mela e versato l’impasto in una teglia rivestita con cartaforno.
Infine ho aggiunto le fettine delle due mele, a raggio, senza affondarle troppo.

Ho aggiunto sulla superficie 1 cucchiaio di zucchero di cocco e ho infornato nella parte medio–bassa a 170°C per circa 50 minuti (a volte copro per cuocere più uniformemente: la torta resta più umida).
Dopo circa 30 minuti la torta è bella gonfia e dorata, quindi ho abbassato la temperatura a 150°C e fatto proseguire la cottura senza aprire il forno.
Infine, per gli ultimi 10 minuti, ho riportato la temperatura a 190°C, ho scoperto la torta, l’ho cosparsa velocemente di zucchero semolato e l’ho trasferita in un piano molto alto per far formare la crosticina zuccherata, per simulare una copertura tipo pasta craquelin.
Ho sfornato, lasciato raffreddare in teglia per 20 minuti, e infine ho sformato e traferito la torta a raffreddare su una gratella.

La torta è profumata, croccantina sopra, morbidissima sotto e super golosa!
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PANE, pizze, pizzelle e dintorni

Streghe delle Simili con pasta madre e … cocco


A seguito della scomparsa di Margherita, una delle mitiche gemelle Simili, sul web, in suo onore, c’è un pullulare di ricette delle due sorelle.
Loro nascevano come figlie di fornai per cui – soprattutto nei corsi che tenevano – il lievito più versatile e veloce da utilizzare era il lievito di birra.
A molti di noi hanno però insegnato uno dei metodi per “tirar su” anche lo stupendo lievito naturale solido, la cosiddetta PASTA MADRE (la mia ha ben 11 anni ed è stata fatta secondo i loro suggerimenti).

E’ per questo che anche io vorrei onorarla con la più semplice e famosa delle loro ricette, LE STREGHE, trasformata da me con un ingente quantitativo di pasta madre (per velocizzare la preparazione).
Ho voluto inoltre fare una piccola prova evitando grassi animali e utilizzando olio di cocco al posto dello strutto suggerito.
Il cocco è un vegetale, e ha un tipo di grassi saturi che, a differenza di quelli animali, non risultano pericolosi per il colesterolo (grassi saturi a catena media)!
Secondo me questo rende il cocco un possibile sostituto dello strutto o del burro in diverse ricette, dolci e salate (giocando sul tipo deodorato o meno).
Risultato? Streghe leggerissime e friabilissime.
Non vi resta che provarle, sia che siate vegani, vegetariani, o anche no!

Ingredienti della mia versione (in fondo riporto la ricetta originale delle sorelle Simili con lievito di birra):
385 farina 0 bio Conad proteine 11
210 acqua
180 pasta madre ben rinfrescata al 45% poche ore prima
50 olio di cocco deodorato (per errore le ho provate anche col doppio di questa quantità: stupende!)
5 sali (4,40 sale e 0,60 bicarbonato)
poca farina per spolverare lo spiano
olio di semi per ungere la teglia
olio extravergine di oliva per pennellare, e
sale fino per spolverare prima di infornare
Procedimento delle Simili (per questa piccola prova di ¼ degli ingredienti indicati, ho voluto impastare a mano, come le gemelle).
Fare la fontana e amalgamare al centro tutti gli ingredienti, fino ad avere un impasto non eccessivamente tenero.
Lavorare 8-10 minuti, battendo, poi coprire a cupola con una ciotola e far lievitare (col lievito di birra 45-50 minuti, io con la mia pasta madre, ho lasciato circa 3 ore).

Staccare un pezzetto di pasta e, senza lavorarla, metterla sul tavolo infarinato, appiattirla con il matterello non troppo sottile, cospargerla di farina, raddoppiarla, tirarla di nuovo col mattarello; lo spessore deve essere uguale o inferiore allo spazio che separa i due rulli nella loro apertura massima (della “nonna papera” che andremo ad utilizzare) .

la sfogliatrice d’altri tempi: la “nonna papera”

Infine (senza più utilizzare farina) tirarla sottile passandola in tutti gli spazi fermandovi al penultimo.
Potete anche tirarla tutta col mattarello, ma in questo caso forse dovrete assottigliarla direttamente sulla teglia tirandola delicatamente con le mani.
Quando sono ancora intere, disporre queste strisce di sfoglia sulla teglia unta con olio di semi, pennellarle con olio di oliva e cospargerle con poco sale fino; poi passare velocemente una rotella dentellata per tagliarle a triangoli o a rombi. Si separeranno facilmente a fine cottura.

    

 

Mettere subito in forno a 210-220°C per 10-12 minuti (io 210 per 10).


Considerando che con questo quantitativo verranno 4-5 teglie di cm 30 x 40 (il che significa che fra la prima che cuocete e l’ultima passeranno almeno 50-60 minuti), per evitare che le ultime siano passate di lievito, con il risultato di diventare troppo secche e poco profumate, è consigliabile che, finito l’impasto, lo dividiate in due formando due palle che metterete a lievitare insieme.
Quando saranno entrambe pronte mettetene una, ben coperta, in frigorifero ed incominciate a stendere l’altra.
Finito di cuocere le streghe del primo impasto prendete fuori il secondo e procedete.

Le Streghe – Ricetta Originale del libro Pane e Roba Dolce
500 g farina 00 normale
250 g acqua, circa
25 g lievito di birra
50 g strutto
12 g sale
olio di semi per unghere la teglia; olio di oliva per pennellare le streghe; sale fino da cospargere.

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VARIE - Quel che resta, e non è poco

Morte di una mitica gemella: Margherita Simili

… è con dispiacere che oggi – 25 marzo 2019 – ho appreso della morte di una delle gemelle Simili, ambasciatrici nel mondo della cucina bolognese e della cultura del pane e della sfoglia.

Valeria e Margherita Simili Se ne è andata Margherita (la signora che vedete sulla destra).

Le potete vedere qui per la presentazione di uno dei loro libri.

In questa foto sono ad un loro corso, tenuto qui a Roma nel novembre 2008 – “Pasta & Roba Dolce” – dove ho avuto la fortuna di conoscerle.

Ricordo che le care sorelle “abarth” lavorarono e ci fecero lavorare tantissimo, ma quante cose imparammo….

E qui, la dedica sul loro libro “Pane e Roba Dolce”, alla quale tengo molto.

 
La mia pasta madre, che proprio in questo mese compie ben 11 anni, l’ho costituita secondo i loro suggerimenti.
Non c’è molto altro da dire se non un ringraziamento per tutti gli insegnamenti avuti da chi, come me, ama stare con le mani in pasta!
 

Ciao MARGHERITA

 
Fonte: Il Resto del Carlino
Su Il Gambero Rosso, un servizio sulla loro vita

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PIATTO RICCO mi ci ficco (e piatti unici)

Fettina panata … e capricciosa

Ed eccoci con le classicissime fettine panate; questa volta la carne utilizzata è stata di nuovo il cappello del prete, una carne grass fed comprata di recente (per ora lo trovo il taglio di carne più versatile a mio giudizio; anche se leggermente venato, lo preferisco al girello perfino per questa ricetta).
Per riuscire al meglio, e non far staccare la panatura, ultimamente ho preparato le fettine come spiego sotto.

Ne ho anche congelate alcune e, in arrivo di ospiti, le ho servite come faceva mia madre quando ero ancora in casa sua: delle ottime fettine alla capricciosa.
Così lei chiama le fettine panate “acconciate” con funghi trifolati, pisellini al prosciutto e mozzarella, con una breve infornata per dorare il tutto.
E’ un piatto molto “carico” per cui non è da consumare se non in qualche occasione, ma oggi è ancora martedì grasso e … semel in anno licet insanire 😉
Ingredienti per 6 persone
6 fettine grandi (io le ho divise in due, quindi 12) di cappello del prete grass fed
2 uova
2 albumi (per alleggerire il colesterolo – ho usato quelli dei brik)
pangrattato (no farina)
sale (io a velo, solo alla fine)
olio di arachide
Procedimento
Per preparare una quantità ingente, il mio trucco è stato quello di avere tutto a portata di mano e utilizzare un vassoio adatto, grandissimo.
Ho lasciato le fettine nelle uova/albumi battuti e non salati per circa mezz’ora.
Quando preparai in passato le fettine col procedimento farina-uova salate-pangrattato, la panatura si scollò tutta, quindi ora faccio così.
Ho letto successivamente infatti che ai fini di una buona panatura non si dovrebbe salare prima; il sale tende a far rilasciare l’acqua, la panatura non aderisce bene e cade a pezzi durante la cottura, compromettendo il fritto.

Ho poi scolato dall’uovo ciascuna fettina e l’ho passata nel pangrattato, pressando bene.

Ripetuto per la seconda volta il passaggio uovo/pangrattato, aggiungendo all’occorrenza altro uovo/albume (all’inizio avevo preparato solo 1 uovo e 1 albume, poi ne ho aggiunto dell’altro).

Ho fritto poche fettine alla volta in olio profondo, per pochi minuti per parte, quando la temperatura è arrivata a circa 170°C (mi sono aiutata con un termometro).

Solo in questa fase, dopo ogni frittura, ho prima asciugato l’eccesso di olio con cartacasa e poi ho salato leggermente ciascun lato delle fettine, spolverandoci sopra un po’ di sale a velo (mi sono aiutata con un passino a maglia fine).

PER LA CAPRICCIOSA

Sarà sufficiente assemblare le fettine panate, mozzarella a fette ben scolata, funghi champignon trifolati e pisellini al prosciutto (tutti già cotti in precedenza in padella, separatamente; sotto integro con qualche semplice dettaglio), ancora mozzarella, un giro d’olio e.v.o. e una spolverata di sale a velo.
Infornare già caldo a 160°C per 30 minuti funzione statica. Se piace la crosticina sulla mozzarella, gli ultimi 5 minuti accendere il grill.
Servire su piatti caldissimi.
  
Per i funghi trifolati:
400 g funghi champignon
2 spicchi di aglio senza la nervatura centrale
facoltativo poco peperoncino (o pepe verde)
olio extra vergine di oliva
poco sale
Per i pisellini al guanciale:
400 g pisellini surgelati
1 fettina di guanciale o pancetta
mezza cipolla
facoltativo poco peperoncino (o pepe verde)
olio e.v.o.
pochissimo sale
4-600 g mozzarella a listerelle ben scolata dal proprio siero.

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PASTAiola, primi e pasta fatta in casa

Lorighittas di Morgongiori – Sardegna

Ho conosciuto le lorighittas anni fa, tramite uno dei nostri soliti “Cucinare Insieme” in Cookaround, per fare la pasta fatta in casa, in occasione del 150mo anniversario della nostra Italia.
Mi sono innamorata e ho provato a fare questa pasta-gioiello.


e il piatto finito, con la “Salsa alla Carlofortina”, riadattata da me per l’occasione speciale (e della quale fornirò dettagli in seguito)

E’ una pasta originaria del paesino di Morgongiori in Sardegna.
Si faceva in occasione della festa di Ognissanti, ma volendo si fa durante tutto l’anno.
Si usava condire con il sugo fatto con galletto ruspante, ma ogni condimento si sposerà bene con questa pasta.
La lavorazione è molto lunga se si osserva l’antico metodo al quale mi sono ispirata.
Oggi comunque con i moderni aiuti che abbiamo (pastamatic o macchinette tirapasta o chitarra abruzzese o matterelli rigati), questa pasta potrà più facilmente e velocemente fare bella mostra sulle nostre tavole.
I miei ingredienti (quelli soliti di alcune delle robuste paste regionali italiane) per 3-4 persone:
330 semola rimacinata De Cecco
165 acqua di rubinetto
pizzico di sale (3,3 g)

La solita fontana sulla mia tavola con l’acqua salata calda, ma non bollente

I
l panetto, che ho fatto riposare un pochino prima di fare le lorighittas, dopo una accurata lavorazione di circa 20 minuti.
 
Dal panetto (sempre mantenuto ben coperto, sotto un tovagliolo umido) ho cominciato a tendere la pasta, formando uno spaghetto finissimo.
Per mantenere umido l’impasto, ho anche vaporizzato spesso durante la lavorazione.
Mi sono aiutata con l’autoscatto (scusate le foto sfocate) per mostrare la sequenza della formatura
della lorighitta che, ricordo, andrebbe arrotolata sulle tre dita della mano (indice, medio, anulare).
Per formare l’intreccio poi, si procede arrotolando con le due mani, in senso inverso, i due capi dei fili di spaghetti.

Eccole in tutto il loro splendore.
Generalmente preferisco cuocerle da fresche (o congelarle) considerando pochi minuti di cottura.
Facendole essiccare invece (4-5 giorni ) la cottura dovrà essere di almeno 20 minuti o più, secondo gusti (come le orecchiette secche d’altronde).
Dipenderà anche da quanto sarete riusciti a tendere fini gli spaghetti.
Ai fini del peso finale della pasta, considerare che con l’essiccazione evapora tutta (o quasi) l’acqua utilizzata per la lavorazione.
Da secche, diventeranno una simpaticissima (e preziosa) idea regalo.
20.III.2011